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    Berlusconi epuratore seriale: dovrebbe cambiare idea almeno su Maldini

    Berlusconi epuratore seriale: dovrebbe cambiare idea almeno su Maldini

    • Luca Borioni
    Quel vizio di cancellare le tracce del passato, per evitare paragoni ingombranti o semplicemente per affermare la propria figura di leader. Succede a chi assume ruoli di comando, specie nel calcio.

    Sarà, ma a me sono sempre sembrati segnali di debolezza.

    Entriamo nel dettaglio: Silvio Berlusconi e il suo difficile rapporto con i personaggi di forte personalità, con quelli che magari prima di lui avevano stabilito forti legami e una solida identificazione con il mondo rossonero. A ben vedere, non è che siano state sempre rose e fiori.

    D’accordo, sono dinamiche comuni. Anche Andrea Agnelli alla Juventus ha faticato a gestire la separazione con Alessandro Del Piero, nel senso che non si è preoccupato più di tanto del passato illustre di un tale giocatore-bandiera al momento di liquidare la pratica. E pensiamo anche ai contrasti emersi recentemente tra Francesco Totti e la dirigenza del suo club del cuore, la Roma.

    Non divaghiamo. Torniamo a Berlusconi. Un epuratore seriale?

    Quando approdò trionfalmente al Milan rilevando la proprietà del club da Giussy Farina, trovò in panchina un’istituzione rossonera del calibro di Nils Liedholm. Osservando le prime partite nella sua nuova carica di presidente, insoddisfatto per le prestazioni della squadra, non riuscì a trattenersi a proposito dell’allenatore svedese: “Il gioco che fa non è funzionale al gol”. E come racconta l’agiografo rossonero Tiziano Crudeli, il pungente Liedholm espresse a sua volta un lapidario giudizio sull’imprenditore rampante: “ Sì è molto bravo, capisce di calcio, ha allenato l’Edilnord…”.

    Era la fine del 1986, a marzo del 1987 arrivò l’esonero. Via una bandiera.

    Per non parlare poi di Gianni Rivera. A parte il fatto che non si capisce perché (l'immagine in tribuna vista ieri alla tv in occasione della diretta di Italia-Francia Under 21 era emblematica) un personaggio del calibro carismatico di Rivera debba sedere al fianco del presidente federale in carica Carlo Tavecchio, e non al suo posto. Ma allo stesso modo si fa fatica a concepire un Milan dove non possa esserci spazio per l’ex numero 10, un fuoriclasse epocale sul campo e un personaggio altrettanto storico anche fuori dal calcio giocato (famose le sue polemiche al tempo inedite contro la stampa, la classe arbitrale, la Figc e la stessa dirigenza del Milan…). O meglio, si capisce che un personaggio scomodo (così ti definiscono quando sei troppo coerente con te stesso e con la verità) non possa essere accolto da un leader assoluto come Berlusconi. Il quale in realtà non è mai stato neppure sfiorato dall’idea di far rientrare Rivera a casa Milan. Figuriamoci: quando il fondatore di Forza Italia acquistò il Milan, lasciando appunto senza una carica l’ex capitano, dimenticò poi di citarlo in una biografia elettorale del 2001, parlando del Milan. Del resto Rivera in quella tornata elettorale era candidato, nello stesso collegio, per l’Ulivo. Si dice che l’ostracismo sia proseguito fino a impedire a Rivera di salire anche alla presidenza della Figc, ma sono voci.

    E comunque nulla di nuovo sotto il sole: non fecero la stessa cosa quelli della Triade dimenticando, per le celebrazioni dei cento anni della Juventus, un certo Boniperti?

    Berlusconi comunque si è ripetuto in altre occasioni e con altri personaggi “ingombranti”. Ad esempio, anche se con modalità decisamente più soft, nei confronti di Roberto Donadoni. Uno dei primi grandi colpi di mercato del Milan berlusconiano, un giocatore simbolo dell’era Sacchi (anche qui, amore e… qualche pausa), un allenatore tra i più capaci. Eppure, mai coinvolto nei piani tecnici, neppure in quelli di rilancio che oggi avrebbero davvero bisogno di un personaggio esperto e capace come l’attuale allenatore del Bologna. La fiducia va invece preferibilmente all’ultimo pupillo Brocchi. Uno come Donadoni forse non incarna esattamente i parametri del tecnico ideale secondo B. Troppo dimesso, troppo poco comunicativo, troppo umile, troppo… boh.

    E si arriva a Paolo Maldini. Il caso forse più clamoroso. Non tanto quanto l’assurda ostilità che parte della curva manifestò a San Siro il giorno dell’addio da giocatore per l’ex esterno sinistro prodigio del Milan. Ma si tratta di un’altra vicenda in apparenza inspiegabile. Perché Maldini è un personaggio portatore di valori positivi e rispettato per questo, e per il suo stile, negli ambienti del calcio e trasversalmente. Maldini ha idee, un pensiero, una preparazione che vanno anche oltre la mera competenza calcistica. Maldini ha una forte identificazione con il Milan. Eppure ne resta fuori. Avrebbe anche idee innovative, un’esperienza manageriale all’estero, insomma qualità che tanto comodo farebbero al Milan scombinato di questi tempi. E invece niente. “Non si è mai proposto”, taglia corto Berlusconi adducendo la più debole delle giustificazioni. Chiama tu, no chiamo io, no chiami lei

    Maldini ha detto verità scomode sottolineando l’assenza di un progetto tecnico al Milan e l’inefficacia dell’attuale struttura societaria fondata su due amministratori come Galliani e Barbara Berlusconi. E guai a dire che il re è nudo.

    Insomma, così vanno le cose. Ma visto che al Milan i risultati non portano conforto alla teoria delle epurazioni e dei tagli netti con i personaggi simbolo, non sarebbe il caso di cambiare? Berlusconi, veda lei. Soprattutto con i cinesi alle porte di Casa Milan.

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