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    Milan a pezzi, addio scudetto e occhio in Champions. Fallimento Pioli, ma chi rivuole Ibra non capisce di calcio

    Milan a pezzi, addio scudetto e occhio in Champions. Fallimento Pioli, ma chi rivuole Ibra non capisce di calcio

    • Giancarlo Padovan
      Giancarlo Padovan
    Fuori uno. Anche se siamo solo all’inizio di novembre, non è mai troppo presto per cantare il de profundis ad un Milan a pezzi che, battuto ieri sera dall’Udinese a domicilio, è a sei punti dall’Inter ufficialmente in fuga. La sconfitta non sarebbe irrimediabile (il Napoli è al quarto posto a meno sette dai nerazzurri e giustamente spera ancora) se non fosse che lo 0-1 di San Siro (rigore di Pereyra L 62’) si incista in un tessuto connettivo così purulento da apparire insanabile.

    Come se non bastassero gli infortuni di Kalulu, Bennacer e Pellegrino (tre lungodegenti), più Sportiello, Kjaer, Pulisic e Chukwueze, poco prima del fischio d’inizio dell’arbitro Sacchi si infortuna Theo Hernandez e, a fine del primo tempo, esce anche Krunic non perchè ammonito, ma perché sente tirare il muscolo di una gamba.

    Dove può andare una squadra ridotta ad un lazzaretto, costretta ad aggrapparsi a Giroud e ai ghirigori ormai sbiaditi di Leao per non affogare?

    Di strada, il MIlan, ne ha fatta poca contro l’Udinese e - temo - ne farà ancora meno in Champions, dove è atteso dal Paris Saint Germain. Dovesse perdere, come è probabilissimo, le possibilità di avere sostanzialmente buttato la stagione già in questo piovoso autunno sarebbero concrete. Nè scudetto, né Champions e, se va avanti così, neppure Europa League. Il fallimento è servito e Pioli è sulla graticola. Ma chi vuole affiancargli Ibrahimovic o è un provocatore, o non capisce nulla di calcio. Se l’allenatore del Milan non va più bene, e i fischi copiosi del popolo rossonero a fine partita starebbero a testimoniarlo, lo si sostituisce con un altro allenatore. Non con un narcisista ottuso che si crede un oggetto di culto. Peggio - e l’ho già detto - sarebbe affiancaglierlo.

    L’Udinese in dieci partite non aveva mai vinto, ci è riuscita all’undicesima, la seconda di Cioffi, l’allenatore di ritorno che ha sostituito Sottil. Nonostante una sequela di occasioni nei sette minuti di recupero concessi dall’arbitro Sacchi (Florenzi due volte, Okafor, Leao) e, prima del 90’, un colpo di spalla di Giroud (cross di Leao), deviato prodigiosamente dal portiere Silvestri, i friulani hanno meritato il successo. Certo, visto come Lucca e Thauvin hanno sciupato un paio di contropiede in parità numerica, l’Udinese difficilmente avrebbe segnato se non su calcio di rigore. Ma il fatto che si fosse presentata in area per prima, in almeno un paio di circostanze pericolose, aveva fatto intuire che partita avrebbe affrontato. Success ha sfondato sinistra, Pereyra ha cucito il gioco, Samardzic ha messo la sua classe a favore della causa, Ebosele ha messo in crisi Florenzi. Gli esterni sono stati fantastici, peccato non avere una punta. Dietro, invece, quasi nessun rischio (fino all89’), tranne i tiri da lontano di Calabria e Musah. I tre difensori centrali non sono fenomeni (svettano di testa su ogni pallone, ma di piede ne buttano via troppi), però sanno metterci forza, fisico e tempismo.

    Sul rigore ci sarebbe da discutere (Adli ha pestato o no il piede di Ebosele?), tanto che Sacchi per un paio di secondi non è intervenuto e poi ha fischiato. Ma il Var ha confermato e il MIlan, se solo fosse stato decente, avrebbe almneo recuperato.

    Invece i piccoli sono stati grandi, i grandi hanno finito per essere piccoli. Al di là degli infortuni, che sono una zavorra soprattutto per il futuro, il MIlan è stato lento, prevedibile, a tratti monocorde. L’unica verticalizzazione scontata è quella su Leao, ormai preda dei suoi limiti di personalità o, forse, di identità. Il resto sono stati cross dalla trequarti, neanche dal fondo, alla ricerca della testa di Giroud, sempre più solo (Jovic inesistente, Okafor velleitario) e soffocato dalla rodomontesca difesa dell’Udinese. Fischi, fischi, ancora fischi. E, sotto la pioggia ghiaccia di San Siro, troppi oscuri presagi.

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