Mihajlovic: 'Belotti il miglior attaccante in Italia. Ero vicino alla Juve, ma...'
QUASI BIANCONERO - "Il trasferimento alla Roma? Ero in trattativa con la Juve perché l'anno prima, con la Stella Rossa, avevamo vinto la Coppa dei Campioni e la Coppa Intercontinentale e io ero ben quotato nel calcio internazionale. Con la mia squadra dovevamo andare agli Europei in Svezia e invece ci hanno mandato via per l'embargo e la società, ormai in crisi, ha venduto tutti. In verità Boskov mi voleva portare alla Sampdoria due anni prima, però da noi non si poteva fare perché ai tempi del comunismo un giocatore prima di ventotto anni non poteva andare fuori. Così, dopo l'embargo, stavo valutando la proposta della Juve. Poi, all'improvviso, Boskov è andato a Roma, mi ha chiamato e sono andato perché lui mi stimava e mi sono detto che era meglio andare in una società dove c'era un allenatore che mi conosceva".
L'ALLENATORE PIU' IMPORTANTE - "Io penso che ogni allenatore sia stato importante, in un certo senso. All'inizio sicuramente Petrovic che mi ha preso da una squadra di serie C e mi ha portato in serie A. Poi Boskov che mi ha dato la possibilità di venire in Italia ed Eriksson che mi ha fatto diventare difensore centrale allungandomi la carriera, e poi Mancini, perché grazie a lui faccio questo lavoro...".
MOURINHO - "Ci siamo trovati uno contro l'altro. Io ho anche litigato con lui. Fu quando allenavo il Catania. Noi vincemmo 3 a 1, era l'anno del triplete. Ora non ricordo bene, ma deve essere successo qualcosa sui giornali e allora ho detto che non potevo parlare di calcio con uno che non aveva mai giocato a calcio. Lui ha risposto ricordando una volta che avevo sputato a un avversario, ci siamo presi un po'. Poi ci siamo visti in una riunione ed è venuto lui a salutarmi. E' finito tutto là, poi sono anche andato a vedere i suoi allenamenti, mi interessavano. E' un tipo, a me piace come allenatore, quello che fa, è un po' sopra le righe però lo fa sempre in modo giusto. E' tutto il contrario di Guardiola. Poi Mourinho o lo ami o lo odi, non c'è una via di mezzo. Mourinho è Mourinho. Anche se adesso ha un po' di problemi, è stato ed è uno dei più grandi allenatori in circolazione".
MILAN - "Loro quando mi hanno preso volevano un allenatore di personalità e quando uno prende Mihajlovic sa a cosa va incontro. Perciò tu non puoi prendere Mihajlovic e pensare di far fare come vuoi te. Ci si può parlare, ci si può confrontare, però sono sempre io quello che deve decidere. Quando sono arrivato al Milan ho cercato di ridare nello spogliatoio la cultura del lavoro. E ci sono riusciuto. Abbiamo ridotto molto gli infortuni, per esempio Alex che non aveva mai giocato l'anno prima, con me ha fatto tutte le partite. Le prime sette, otto giornate abbiamo perso tempo perché volevamo provare a giocare 4-3-1-2 come voleva Berlusconi, anche se si capiva che non si poteva stare in campo in quella maniera. Poi con il Napoli si è perso e allora ho detto a Berlusconi che non volevo più giocare così: "Io voglio fare di testa mia, voglio provare io, poi se a lei va bene va bene a tutti, sennò mi mandi via". I risultati sono cominciati ad arrivare. Quando sono stato esonerato li ho lasciati in Europa League e in finale di Coppa Italia, dopo la partita con la Juve, che forse è stata la migliore della stagione".
DONNARUMMA - "Ho fatto esordire Donnarumma a sedici anni e mezzo, fino a quel momento il portiere titolare era Diego Lopez. Berlusconi venne due volte a Milanello per convincermi a far giocare Diego Lopez. Io ho detto: "Guardi ci sono due soluzioni possibili: o lei mi manda via e mette Diego Lopez o io rimango e metto Donnarumma in porta". Per fortuna sua mi ha lasciato. Romagnoli non lo volevano prendere. Venticinque milioni di euro. Sinceramente in quel momento quella cifra era alta. In quel momento, ma in prospettiva no, tanto è vero che quest'anno era stato offerto dal Chelsea quasi il doppio per acquistarlo. E tutti e due questi ragazzi ora sono in Nazionale. Romagnoli il presidente non lo voleva, non lo voleva comprare. Anche Niang, non giocava mai. Poi con me fu rilanciato. Quell'anno doveva essere venduto all'estero, io mi sono opposto e adesso è titolare in squadra. Togli questi tre giocatori e il Milan attuale non sarebbe quello che è. Io penso che per giudicare il lavoro di un allenatore si deve guardare anche questo. Ho fatto lo stesso alla Samp: De Silvestri, Soriano, Eder, Gabbiadini. E lo stesso Torino di ora. Sono cose importanti anche quelle, per la società che si allena".
CAIRO - "Mi trovo bene con lui. Lui è uno molto ambizioso, a me piace. Non mi andava di venire a Torino e pensare di salvarmi, io sono ambizioso. E ho trovato in Cairo quello che speravo, ci siamo trovati subito, ci siamo piaciuti subito per la voglia di fare, per quello che avevamo in testa".
VIEIRA - "In primo luogo devo dire che dopo quella storia io e Vieira siamo diventati amici. Tanto è vero che lui, anche se era infortunato, è venuto alla mia partita d'addio al calcio. Una bella prova di amicizia, dopo quello che c'era stato tra noi. In una partita lui mi ha detto zingaro di merda e allora io non glio ho detto negro di merda, gli ho detto nero di merda. Io penso che tutto quello che succede in campo deve rimanere in campo e poi deve passare. Poi lui quando è tornato in Inghilterra ha detto che io gli ho detto negro di merda. Io potevo dire tranquillamente che non era vero. Io non sono fatto così e ho confermato: sì, gli ho detto nero di merda. Ma la mia offesa non era nero ma era merda. Perché nero di merda è razzismo e zingaro di merda non è razzismo? Che cambia? Non cambia nulla. Io ho tanti amici che sono neri. Io comunque con tutti sono in buoni rapporti e quando ho avuto qualche problema ho sempre detto le cose in faccia e sempre affrontato i problemi da uomo, e non da codardo".
MUTU - "Qualcuno con noi non mi sono riappacificato? No. Per esempio Mutu al quale ho sputato, cosa che non avrei dovuto fare. Io sono andato a Firenze, lui era giocatore ed era preoccupato. Ma io gli ho detto guarda non ti angosciare, è stata colpa mia. Tu sei stato bravo a provocarmi, io sono stato coglione e ti ho sputato. Ho sbagliato io, io chiedo scusa a te, non tu a me. I giocatori stessi sapevano come ero in campo e venivano a provocarmi, così come tante volte io andavo a provocare loro. Una volta mi ricordo di Bierhoff che è stato astuto. Ero nella Lazio, abbiamo giocato con il Milan e c'era il bombardamento su Belgrado in corso. Quando giocavo avevo bisogno sempre di avere qualche nemico per poter rendere al massimo. Allorami preparavo, "gli dico di tutto, lo provoco, così lui si incazza e io mi incazzo". Così rendevo al massimo. Ma Bierhoff, furbacchione, viene prima della partita e mi dice "Guarda, ti voglio dire una cosa: mi dispiace tantissimo per quello che succede nel tuo paese perché non ve lo meritate. Io sono con voi". Io lo guardo e gli dico grazie. Lui va via e io mi dico: ora come cazzo faccio, non posso menarlo dopo quello che mi ha detto questo del mio paese. Insomma sono rimasto là senza menare, deluso".
BENASSI E BASELLI - "Loro sono sicuramente due giocatori che sposano bene quantità e qualità. Devono migliorare naturalmente nella fase difensiva, tutti e due. Baselli si sapeva che aveva grandi qualità, però era sempre molto moscio, ci ho parlato mille volte poi l'ho fatto uscire anche all'esterno incazzandomi. Adesso ha cominciato a capire e sta migliorando dal punto di vista della personalità, è un ragazzo sveglio. Devono crescere molto, sono tutti e due giovani ma fanno bene in tutte e due le fasi, di possesso e non. Sicuramente sono due giocatori che possono giocare tranquillamente in Nazionale e possono essere la base del futuro centrocampo, perché hanno tutte le carte in regola per farlo".
BELOTTI - "Belotti è forte perché ha fame. Ed è migliorato tantissimo. E' uno che non si risparmia mai, neanche in allenamento. E lui sa che deve ancora crescere. Ma la cosa fondamentale è che non deve perdere l'umiltà e la cattiveria che ha. Ho avuto la fortuna di conoscere anche i genitori, persone umili. A fine anno, se continua così, sarà a tutti gli effetti il miglior attaccante d'Italia".
GIOVANI - "Se ne vorrei altri? Sì, ce ne sono alcuni. Quelli dell'Atalanta, ce ne sono due o tre che sono molto bravi: Conti, Kessié, Gagliardini. E, nel Milan, Calabria, che esordì con me, e Locatelli. Ci sono un sacco di giovani giocatori capaci, bisogna solo avere il coraggio di farli giocare".
OBIETTIVI - "Ci vuole tempo e bisogna fare passo per passo. Ma bisogna sempre alzare l'asticella: prima nessuno diceva Europa, io l'ho fatto e ci credo e sono contento che ora comincino a farlo anche i dirigenti o i tifosi, perché significa che stanno acquisendo stima e fiducia. Perciò per noi perdere a San Siro o pareggiare con la Lazio non deve essere un'abitudine, noi ci dobbiamo incazzare perché possiamo fare di più. Per me non è normale perdere a San Siro o pareggiare con la Lazio. Io voglio vincere, poi si può anche perdere ma c'è sempre modo e modo di perdere".