'Mi chiamo Francesco Totti': il film d’autore che non ti aspetti
Il cinema, inteso come opera dell’ingegno, è certamente quello che è riuscito a realizzare Alex Infascelli regista e sceneggiatore del film che racconta tutto sull’ex leggendario capitano della Roma e sulle sue imprese non soltanto calcistiche. Novanta minuti, il tempo di una partita, che scorrono via in maniera naturale e che catturano l’attenzione dello spettatore facendolo transitare attraverso tutta una serie di autentiche emozioni come sempre dovrebbe fare il cinema. Un’opera non soltanto per appassionati e tifosi di parte ma assolutamente per tutti coloro che amano le cose belle.
Totti ovviamente è il protagonista assoluto della pellicola e sua è la voce che sottolinealo sviluppo dell’intera narrazione. Ma è soprattutto Francesco, bambino e ragazzo e uomo, a prevalere persino sull’intera storia sportiva offrendo al film significati più profondi e addirittura inaspettati. Felicità, ansie, dolori, piccoli sentimenti antichi, esagerazioni da guascone, squarci di vita reale e popolare, punte di commozione persino. Tutto questo in un contenitore impreziosito da una regia che, talvolta, sa offrire pennellate artistiche alla Paolo Sorrentino e scene che hanno ben poco di documentaristico ma molto di cinema d’autore.
E’ bello poter rivedere all’opera, attraverso filmati che sembrano frutto di un lavoro realizzato sul set, i personaggi che hanno accompagnato il capitano nella sua vita di giallorosso per sempre. Nel bene come nel male. Da Mazzone e Zeman, padri adottivi di Francesco, sino al suo nemico numero uno ovvero il tecnico Spalletti la cui figura ”umana” esce devastata dal racconto-verità senza veli. Toccante e da brividi è il finale con la scena dell’addio al calcio segnata dalle lacrime del capitano e da quelle della gente dell’Olimpico che lo acclama. Significativa il fermo immagine conclusivo con Il capitano di oggi e un bambino davanti lui a significare che la storia si è soltanto interrotta, ma non finirà mai.