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    Mexico 70, l'incredibile racconto di Furio Valcareggi/2: 'Il 4-3? Ci aiutò l'arbitro, Beckenbauer mi gridò: ladri! Assediati dai tifosi per il ko col Brasile'

    Mexico 70, l'incredibile racconto di Furio Valcareggi/2: 'Il 4-3? Ci aiutò l'arbitro, Beckenbauer mi gridò: ladri! Assediati dai tifosi per il ko col Brasile'

    • Carlo Pallavicino
    Furio Valcareggi, figlio di Ferruccio, racconta Mexico 70 a Calciomercato.com. Questa è la seconda e ultima parte dell’intervista (QUI LA PRIMA PARTE)

    Ed eccoci a Italia-Germania. 17 luglio 1970, Stadio Atzeca.
    “Li scoprii gli sky-box per la prima volta, tra il primo e il secondo anello. Palchi con divani, moquette, buffet, vetrate che si aprivano sul campo: pura fantascienza. La Germania avrebbe meritato di vincere. Overath fallì un gol incredibile, forse l’unico sinistro sbagliato in tutta la carriera. Finì appena alto sopra la traversa. C’erano anche due rigori clamorosi per loro. Anni dopo all’addio al calcio di Jean Marie Pfaff (il portiere del Belgio) intravidi Beckenbauer, ci presentarono: “Ladri, ladri!” urlò. Aveva ragione. Bertini stese il loro centravanti Seeler due volte in area. L’arbitro, forse per compensarli, dette poi due minuti di recupero. Infiniti. All’epoca non era come oggi: si fischiava sempre al 90’ spaccato, al massimo dieci secondi in più. Arrivò Schnellinger da dietro, gol. Dissi: siamo morti. Chi recupera all’ultimo di solito vince per l’inerzia della gara. Figurati poi appena segnò Muller e loro passarono in vantaggio all’inizio dei supplementari…”

    La fine.
    “Praticamente. Poi pareggia Burgnich. Di sinistro. Tarcio, ti rendi conto, che in area avversaria ci sarà entrato due volte in tutta la vita. La partita del secolo, davvero. Il resto lo sanno tutti. Ricordo solo che a un certo punto in tribuna chiesi a Fabrizio, il ristoratore: “Quanto stiamo?”, avevo perso il conto dei gol. Corsi in albergo ad aspettare il babbo. L’abbraccio più lungo della mia vita. Lui, un freddo, quella volta si sciolse. Chiamai la mamma in Italia, le quattro del mattino: “Furio, Furio - urlò - ci sono tre uomini che ballano nudi sul terrazzo!”.

    E invece voi lì?
    “Al parco dei Principi iniziò la festa, perfino i fuochi d’artificio. Una notte indimenticabile. Il babbo in questi casi chiudeva un occhio, anche due, come tutti. Quando vinci che problema c’è? Tutti eroi, perfino Fabrizione Poletti che aveva combinato un paio di arrosti in campo. Il giorno dopo riposo assoluto. Andai al museo Antropologico con Ferrante e Gori, Riva invece dormì tutto il giorno, d’altra parte faticava a prendere sonno. Orfano fin da giovanissimo, un’infanzia sofferta, fumava e non si addormentava prima delle quattro. Guai a svegliarlo prima di mezzogiorno. Domenghini protestava: “Non è giusto”. “Ma cosa stai li a guardare. Muto”, rispondeva il babbo. Riva è Riva. Con lui partivi da 1-0, il resto sono chiacchiere. Pensa che quando hanno esposto la salma del babbo a Coverciano, corsi a ricevere Gigi per l’ultimo saluto. Appuntamento alle nove in punto. Gigi arriva alla camera mortuaria, occhi assonnati e davanti al babbo sussurra: ce l’ha fatta a farmi alzare presto”.

    Appena settantadue ore alla finale, l’Italia pagò col Brasile la stanchezza dei supplementari?
    “Questa è una leggenda metropolitana. Quando giochi una finale dei mondiali non puoi essere stanco. Ti regge l’adrenalina. Dopo sì, dopo sei morto, ma lì per lì dai tutto e di più. Piuttosto alla vigilia avvenne un episodio che condizionò la squadra.”

    Ovvero?
    “Il sabato sera, un segretario della federazione disse alla comitiva di fare i bagagli prima di andare all’Atzeca (la finale era in programma alle 12): ‘L’aereo parte 7 ore dopo la finale altrimenti non facciamo in tempo a imbarcare’. Erano tutti pieni di souvenir di ogni tipo, dalle pistole che in Messico te le vendono neanche fossero brioches, ai ponci fino ai larghi sombreri ingombrantissimi. Cominciò così un via vai frenetico tra i bungalow dove alloggiavano i giocatori. Ognuno a chiedere all’altro se avesse spazio per stivare gli oggetti in eccesso. La testa era ai bauli anziché al Brasile. Gran fermento e inutile distrazione pre gara. Tanto più che l’aereo era ‘nostro’ in quanto il primo ministro Amintore Fanfani aveva messo un DC 8 a disposizione della nazionale e non c’era alcuna fretta per decollare. Certo non fu questa la causa ma non aiutò la concentrazione”.

    Veniamo alla partita. Se la Germania aveva meritato di batterci, col Brasile, ammettiamolo, non ci fu storia.
    “Non è vero - reagisce Furio - Col Brasile ce la siamo giocata. Abbiamo fatto la tipica partita dell'Italia di quei tempi. Centrocampo di ferro, grandissima difesa e un bel portiere anche se Albertosi, dopo 40 anni, a proposito del gol di Gerson, mi ha confessato: ‘Un po' di colpa ce l’ho, potevo prenderla’. Per non parlare di Burgnich che è l’uomo più onesto della terra e ha svelato, ma si vede anche dalle foto, che sul gol di Pelè scivolò con tutti e due i talloni al momento di staccare verso l’alto. Il Tarcio era posizionato perfettamente davanti a Pelè che avrebbe potuto restare in cielo (il famoso ‘terzo tempo’ come Maradona e pure… Flachi) quanto gli pareva ma non avrebbe mai colpito e segnato l’1-0. Molti dimenticano poi che fino a 24 minuti dalla fine stavamo sull’1-1 con due occasioni clamorose sprecate per andare in vantaggio. Una con Domenghini, incredibile, e l’altra con Boninsegna egoista che ignora Riva solo in area, il quale infatti gli urla di tutto. Se facciamo gol, il mondiale è nostro.”

    E qui si arriva ai sei minuti di Rivera…
    “Se n’è parlato all’infinito: la verità è che sia Rosato che Bertini stavano male e continuavano a chiedere il cambio. Con solo due sostituzioni a disposizione non potevi rischiare. E poi diciamolo una volta per tutte: fintanto che vinci, arrivi in finale e il risultato rimane in equilibrio fino alla metà del secondo tempo, la formazione la cambi malvolentieri. E questo comunque non può giustificare l’accoglienza da manicomio che ricevemmo a Fiumicino.”

    Raccontacela.
    “L’hanno massacrato il mio babbo. Si arriva sopra l’Elba ormai in fase di atterraggio quando ci avvertono: ‘C’è troppa gente a Fiumicino, conviene scendere da un’altra parte’. Noi ci guardiamo sorpresi: ‘Ma come? Siamo arrivati a un passo dalla Rimet contro il grande Brasile dei cinque numeri 10, Jairzinho, Gerson, Tostao, Pelè, Rivelino e ci contestano?’. Atterriamo, dai finestrini vediamo scene incomprensibili. La squadra viene fatta scendere dal davanti e noi da dietro. Ci viene incontro una folla enorme convinta che Valcareggi sia sulla nostra navetta che inizia a dondolare pericolosamente in mezzo ai tifosi. Io nel panico urlo al conducente: ‘Vai diritto! Accelera!’. Minuti infiniti. Gianni Minà e il massaggiatore dell’Inter Della Casa incollati a me. Ripariamo in un hangar dove ci assediano per tre ore e mezzo finche nascosti su un cellulare come galeotti ci portano via verso l’hotel Parco dei Principi. La mattina dopo la comitiva al completo venne ricevuta al Quirinale e ricevette da Saragat medaglie e onorificenze.”

    A parziale ricompensa dopo la nottata in bianco..
    “Mio padre apprezzò il gesto di Saragat che volle così ringraziare la squadra per le emozioni regalate in quel mese agli italiani. Ma mio padre non è mai stato uomo da celebrazioni. Me l’ha fatto notare Federico Buffa, quello di Sky, nel rievocare la vittoria dell’Europeo del’68 contro la Jugoslavia in un Olimpico illuminato a giorno dalle fiaccole dei tifosi. A un certo punto nel filmato si vede il babbo mentre abbraccia Riva e Facchetti, il suo capitano. Loro fanno per avviarsi in tribuna d’onore a ricevere la coppa, lui invece se ne torna direttamente negli spogliatoi. Era fatto così. La gloria preferiva lasciarla a loro, ai suoi ragazzi. Quanto mi fa incazzare quell’immagine. Al posto suo, io sarei lì, in mezzo alla tribuna autorità, ancora a fare festa”.

    2/fine
     

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