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Mexico 70, il racconto di Furio Valcareggi/1: 'Riva come Pelé, biscotto con l'Uruguay. Rivera e Mazzola...'
Quello che segue è un dialogo con il figlio Furio, all’epoca ventiquattrenne, che oltre a essere un celebre procuratore, non ha mai sentito l’onere di essere “il figlio di Uccio” ma anzi, pur con un carattere diversissimo, lo ha amato e onorato come padre, uomo e allenatore per tutta la vita.
Il dialogo, avvenuto al tavolino di un bar a cento metri da Coverciano, da dove l’avventura messicana partì cinquant’anni fa esatti, si è trasformato ben presto un monologo di Furio sull’estate che ha cambiato la sua vita (al ritorno dal Messico si sarebbe pure sposato con Carla, nozze d’oro a settembre, auguri!)
Partiamo dall’arrivo a Città del Messico, volasti con la squadra?
“No, li raggiunsi a dieci giorni dall’inizio. La nazionale era andata con largo anticipo, un mese quasi, per via dell’altitudine. Era il periodo necessario per ambientarsi. Lassù, a 2600 metri, l’aria è rarefatta, non a caso Moser ha fatto il record dell’ora. Il massaggiatore aveva in panchina la bombola con l'ossigeno al posto del vecchio secchio dell'acqua. Anche Riva ne soffrì all’inizio anche se lui era talmente forte che lo superò alla svelta.”
E poi c’era Montezuma…
“Esattamente. La diarrea, tremenda. La presero in diversi, a cominciare da Rivera che infatti non iniziò alla pari con gli altri e impiegò un po' a entrare in condizione. Anche per questo Mazzola partì titolare…”
Fermo con Rivera, andiamo per gradi: quali erano le aspettative, l’Italia era la favorita?
“Favorita no, ma le aspettative erano alte sia perché eravamo campioni d’Europa sia perché avevamo Riva, 19 gol in 16 gare, che in quel momento era all’altezza di Pelè come fama. Fra l’altro era fresco campione d’Italia col Cagliari. I favoriti erano Brasile, Germania, Inghilterra, campione del mondo in carica. Ovviamente c’era la stampa che metteva pressione e ci furono subito polemiche per il rientro anticipato di Lodetti dal Messico.”
Quando si sentì male Anastasi…
“Purtroppo, perché col “Picciotto” (Anastasi, ndr) centravanti avremmo vinto noi. La notte prima di partire per il Messico, in albergo a Roma si svegliò di soprassalto. Un male cane: gli si era gonfiato il testicolo. Entra un dottore: questa è una cosa seria, bisogna operare. Addio Mondiali. A quel punto mio padre decise di convocare Boninsegna che però era un centravanti e rischiava di pestarsi i piedi con Riva. Così chiamò anche Pierino Prati del Milan.”
E a farne le spese fu Lodetti… “Lodetti, grande persona, onestamente era in più. A centrocampo eravamo già coperti. Era stato Rocco a insistere: ‘Uccio portatelo dietro che Rivera è contento’. Mio padre aveva un rapporto d’oro con Rocco. Triestini entrambi, quando mio padre esordì, Rocco era il capitano della Triestina, un monumento. A mio padre regalava 5 lire a partita. Gli dette retta, ma Lodetti non avrebbe mai giocato”.
Torniamo a te sul volo per Città del Messico.
“Atterro carico di cravatte e basilico. Ordine di mio padre. Le cravatte, cinquanta, per le pubbliche relazioni, i cesti di basilico mai capito. Atterro all’aeroporto e vedo una macchina con le bandierine sul cofano e due con la chitarra. ‘O chi c’è sull’aereo?’. Erano li per me e i miei amici. Aveva organizzato tutto Gigi Casola, il gregario di Fausto Coppi, che si era trasferito in Messico e aveva sposato una donna bellissima e miliardaria, la figlia del capo dei vigili urbani di Citta del Messico. Infatti venimmo scortati con le moto fino all’albergo. Arrivo al Parco dei Principi (ricordo ancora l’indirizzo, Paseo de la Reforma 2600), mi vede Olimpio, un metro e cinquanta, storico cuoco di Coverciano, e per poco non sviene dal ridere. Consegno il basilico e abbraccio De Sisti, Albertosi, Riva, Bertini, Gori: fratelli veri. E comincia l’avventura, io viziatissimo...”
Dormivi nell’albergo della squadra?
“No da Raffaello, ristoratore calabrese, zona Rosada, la Parioli di Mexico City. Lo portai a conoscere Riva e lo conquistai immediatamente: divenne il mio chaperon per un mese. Io stavo fisso con gli azzurri. Dopo le partite si mangiava anche insieme. Riso ai formaggi, bistecca; bistecca, riso. Oggi veleno, all’epoca la regola. Ma fammi tornare a Bobo Gori, campione autentico. Tre scudetti, Inter, Cagliari e Juve. Purtroppo non stava bene, aveva un problema muscolare. Sennò avrebbe giocato titolare al posto di Boninsegna che aveva sempre il muso storto e sarebbe finito in panchina. Perché con Bobo accanto, Riva ha segnato 50 gol a Cagliari. Saltato Anastasi, la coppia del mio babbo sarebbe stata quella.”
Inizia il Mondiale: Italia-Svezia…
“E subito si infortuna Comunardo Niccolai, il re degli autogol e titolare con Cera. Coppia centrale del Cagliari, collaudatissima. Cera, il libero, era forte come Beckenbauer, con lui si giocava in superiorità numerica a centrocampo. Fu la rivelazione di quel mondiale. Anche Rosato fece benissimo: entrò e non uscì più. La partita fu brutta. Ciabattata di Domingo, mezza papera del portiere svedese, 1-0 e via a Puebla per la seconda contro l’Uruguay. Nel viaggio in pullman verso Puebla incontrammo tutte e quattro le stagioni: estate, inverno, primavera, estate. Gli occhi spalancati sul finestrino. Incredibili le varietà climatiche del Messico. La partita con l’Uruguay fu un “biscotto” in mondovisione: lo 0-0 andava bene a tutti e infatti la terza partita contro Israele, altro 0-0, fu pleonastica, eravamo già ai quarti.”
Contro Israele entrò finalmente Rivera…
“Sì, stava finalmente trovando la condizione. - E qui Furio comincia a agitarsi… - Guarda che Rivera con mio padre ha sempre giocato. Come facevi a non far giocare uno come Rivera? Però lì no, perché con Sandro Mazzola che era fortissimo e non aveva le paturnie di fare il centrocampista ma il trequartista, c’era anche da pensare a recuperare la palla agli altri. Per questo servivano sia De Sisti che Bertini. La staffetta fu un copyright di mio padre. Intuizione geniale. Dopo l’hanno copiato tutti. Se noti, che vincano, pareggino o perdano, gli allenatori levano sempre il 10. Ma lì per lì, apriti cielo. Arrivò perfino Nereo Rocco (che mi onorai di portare a pranzo con Niccolò Carosio appena cacciato dalla Rai per una presunta offesa mai dimostrata a un guardalinee etiope durante la telecronaca Italia-Israele) assieme a Franco Carraro, all’epoca presidente del Milan. Dovevano consolare Gianni che non gradiva la staffetta. Lui parlava con la Gazzetta dello Sport che quindi era dalla sua parte. Franco Mentana, il padre di Enrico, scrisse cose incredibili contro mio padre, lo distrusse, prendendolo in giro. Ricordo che dopo il mondiale si presentò un giorno a casa nostra al mare e mio padre lo cacciò di casa: “Lei qui non entra.” Mai successo con nessun giornalista. Le pressioni diventarono insopportabili. Ma mio padre che tutti consideravano un tipo influenzabile, era invece quasi presuntuoso, non cambiava idea se non era convinto. Infatti Rivera continuò a partire dalla panca. Come con Chinaglia in Germania quattro anni dopo: tutti, Allodi in testa, volevano cacciarlo in tronco dopo Haiti e mio padre disse: ‘No, abbiamo chiarito. Lui resta fino alla fine anche se mi ha mandato a quel paese’. E così fu.”
Torniamo al Messico, anzi a Italia-Messico, quarti di finale.
“Andiamo a Toluca, capoluogo dello stato federato del Messico contro i padroni di casa. Lo stadio piccola roccaforte, la Bombonera, vecchio, stracolmo, sarà stato grande come quello della Rondinella qui a Firenze moltiplicato per cinque. Bella partita finalmente. Primo tempo 1-1, entra Rivera al 46’ segna e gioca molto bene, si sblocca Gigi Riva e vinciamo 4-1.”
Ed eccoci a Italia-Germania. 17 luglio 1970, Stadio Atzeca...
1/continua