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Mazzarri: 'Le mie scuse? Bugie per l'Inter, non vedevano l'ora di farmi fuori. Le voci sul Napoli...'
LIVORNO - "Il 99% delle società nelle quali ho lavorato ha ottenuto dei benefici. A Livorno arrivò Cristiano Lucarelli che era stato un bel giocatore, ma da un anno o due non giocava, o giocava poco, ci misi tutto un girone: 8 gol nel girone d'andata e 24 nel ritorno".
REGGINA - "Avevo Lanzaro, a forza di prove e ripetute e schemi su schemi, migliorò tantissimo. Faceva dei lanci verso la seconda punta e, con due passaggi, si segnava. Ho fatto tre anni, quando arrivai stava per non iscriversi al campionato, cambiammo dodici giocatori dopo la prima di campionato e ci salvammo con tre giornate d’anticipo. Il secondo anno, altri problemi economici, mancavano i soldi per l’iscrizione, venduti tutti, conservammo la categoria. L’ultimo anno la ciliegina sulla torta: dal -15 hai visto come andò a finire. In tre anni risanammo la società. Questi sono dati".
SAMPDORIA - "Lo stesso è accaduto a Genova. Squadra presa che era dodicesima, arrivammo subito in Europa e si fece una finale di Coppa Italia valorizzando giocatori come Maggio e Pazzini, che ha tratto giovamento dal lavoro con me".
NAPOLI - "Da quando è presidente De Laurentiis sono quello che c'è stato più a lungo. Voglio solo dire che con lui ho avuto un rapporto stupendo. E se fosse stato per De Laurentiis sarei rimasto tanti anni ancora, come si usa in Inghilterra. Però, lo dissi anche a suo tempo, dopo quattro anni se non cambi tutti i giocatori o non ne cambi tanti, diventi troppo prevedibile. È anche una questione di linguaggio. Pensai che fosse quello il momento di andar via. Io sono uno stakanovista, quando lavoro sono un martello, anche per questo mi sono concesso delle pause. Lui mi chiamava, almeno i primi tempi, alle 6 del mattino, massimo le 6.30, e mi faceva un favore. Alle 9 ero già al campo per l’allenamento e il confronto era stato pieno, completo. Con lui avevo un rapporto diretto, gli spiegavo cosa avrei fatto, insomma trovammo una sinergia importante. E' possibile che a Napoli avvertissi uno stress particolare, in fondo venivo da esperienze minori, avevo fatto Acireale, Pistoiese, Livorno, Reggina, Sampdoria. Non avevo vent’anni di carriera in grado di sostenermi. Non ero abituato alla pressione di una piazza così. Anni fantastici, però: sono arrivato e subito il record di Bigon. Se non sbaglio, 16 risultati utili con una squadra che avevo preso al sestultimo posto. Una cavalcata incredibile, il primo anno, poi il secondo, poi il terzo, poi il quarto, crescevamo sempre e siamo arrivati in Champions. Maggio sbagliò il gol del 5-1 all'ultimo minuto e là si perse ai supplementari fallendo tanti gol dopo una partita incredibile. Quel Chelsea la Champions la vinse. Al primo anno di Champions, quando affrontammo il Manchester City di Mancini, eravamo tutti esordienti, me compreso. Uno a zero per noi, pareggiò Kolarov, alla fine il City non si qualificò. Era il Napoli di Grava, Paolo Cannavaro e Aronica. Erano tutti ragazzi senza un curriculum d’alto livello, però davano il massimo. Avevamo un’organizzazione precisa, tutti la facevano propria. Zuniga arrivava dal Siena, diventò un grande giocatore quando lo misi a sinistra. Crescita e risultati si possono coniugare: Cavani veniva da Palermo, aveva 22 anni, non era per niente esploso, giocava spesso sull’esterno, raramente al centro, dicevano che non vedesse la porta. L’ho fatto crescere, è diventato un campione. Hamsik era stato preso dal Brescia due anni prima, non aveva ancora fatto 12 gol, non era ancora esploso in serie A, era un ragazzo giovane da formare. E Lavezzi, uguale. Lavezzi era croce e delizia, oltretutto un po’ sovrappeso. Grazie al lavoro fatto su Cavani e Lavezzi poi al Napoli è potuto arrivare a Higuain. Insomma, in quei quattro anni ne ho fatte tante di cose buone. Un feeling speciale con tutti, a Napoli, resiste al tempo, me ne accorgo tutt’ora, mi vogliono bene insomma. Il Napoli che mi piaceva tanto l'anno scorso con Spalletti me lo sono studiato a memoria. Conosco tutti i movimenti che facevano, questo fa parte di me. Ma finisce qui. Non ho sentito nessuno del Napoli. Sono balle. A Napoli vorrebbero tornare tutti perché è una squadra forte, il club è diventato importante. Napoli è un posto affascinante. Se dovessi avere, come ho avuto, delle chance di rientrare, mi piacerebbe trovare gente disposta a capire il calcio che intendo fare. Mi piace insegnare, migliorare i giocatori, impostare un lavoro serio. Programmare: chiedo troppo?".
INTER - "Ho pagato l'antipatia di persone che non vedevano l'ora di attaccarmi e farmi fuori. Di Inter, quell'anno, c'era solo la maglia nerazzurra, basta dare un'occhiata alla formazione per rendersi conto che non era competitiva, non all'altezza del nome che portava. Con l'esperienza che ho oggi non avrei probabilmente accettato, anche se l'Inter è un posto prestigioso. Quando alleni un club di quell'importanza devi poter disporre di una squadra potenzialmente da primi tre posti, altrimenti preparati a essere contestato ogni tre giorni. Un grande equivoco, quell'esperienza. Anche se poi, rispetto a chi è arrivato dopo e a chi mi aveva preceduto, ho fatto meglio. Io quinto, loro ottavi. A volte sento allenatori di squadre importanti che accampano molte più scuse di quelle che accampavo io. Quando perdi non puoi dire 'la squadra non è all'altezza del club, del suo blasone'. Se pensi al Napoli, dove ho fatto la storia e si perdeva poco, la quota degli alibi era praticamente azzerata. Certe etichette te le appiccicano addosso quando sei costretto a mentire, a difendere il gruppo. Nel calcio perdi poche volte se hai i campioni, se invece sei costretto ad arrangiarti per portarla a casa, il segno della croce non basta. Uno schema riesce meglio se chi lo esegue ha qualità, non sbaglia lo stop, rispetta i tempi di gioco, non fa saltare i sincronismi. Questo è l’abc. Se fai tutte le cose per bene e nel momento in cui arriva la palla dove vorresti che arrivasse, quella rimbalza, cioè cade su un piede poco educato, addio buone idee. E l’allenatore che c’entra? Quando si valutano gli allenatori bisogna considerare il valore del gruppo. La tecnica si può e si deve migliorare, ma a tutto c’è un limite. È inutile che l’allenatore abbia mille idee, prepari schemi a destra e sinistra, se poi basta uno stop sbagliato per annullare ogni sforzo. Non c’è niente da fare: i tempi di gioco li detta la tecnica".
TORINO - "Anche col presidente Cairo la stima è ancora intatta. Sono arrivato in corsa, ho fatto benino subito, ma l’anno importantissimo è stato quello in cui ho completato la preparazione, l’anno dei 63 punti, una cosa incredibile, è tuttora il record dei tre punti. E ti dico la verità, resta il rammarico di aver solo sfiorato la Champions. Siamo arrivati in Europa League, ma se avessimo vinto a Empoli e a sei minuti dalla fine Ronaldo non avesse pareggiato a Torino, saremmo andati su noi. Avevo dei giocatori, ragazzi eccezionali, che mi seguivano alla lettera. Se vai a vedere i dati, eravamo al primo posto per intensità del pressing nella metacampo avversaria, rubavamo palla dopo due, tre passaggi, praticavamo il possesso e per una squadra di media portata era un autentico miracolo del lavoro. Siamo riusciti ad arrivare settimi in un campionato dove sai benissimo che squadre c’erano proprio perché ci muovevamo a memoria. Abbiamo battuto l’Inter, il Milan, l’Atalanta che andava per la maggiore. Nel girone di ritorno siamo arrivati quarti con 36 punti e se controlli il valore della rosa… Bremer quando arrivò dal Brasile lo feci giocare una partita di Coppa Italia, era davvero in difficoltà. Lo tenni fermo a fare tecnica per quattro mesi, senza quasi farlo giocare, è diventato bravissimo, nel ruolo uno dei migliori. Il ragazzo è serio, si metteva lì, lavorava sodo, è bravo anche con i piedi".
CAGLIARI - "Una parentesi sfortunata, mi scuso per l'interruzione".