Mazzarri: 'A fine anno forse mi fermo'
L'allenatore del Napoli parla alla vigilia della sfida con i campioni d'Italia e non dimentica Pechino: "Dopo quella partita volevo smettere, vedo e sento troppe cose che mi fanno passare la voglia".
Mazzarri: "Che grande sfida con la Juve, ma a fine anno forse mi fermo".
Se Pirlo ha lanciato (è proprio il caso di dirlo) la Nazionale, è stato invece Insigne a spianare la strada all'Under 21. Insomma, Juve-Napoli si è fatta sentire, osservare, anche in azzurro. È la Partita, tra le due squadre guida: se non proprio uno spareggio per lo scudetto, comunque una sfida spartiacque. Un'emozione forte per Walter Mazzarri, quindici anni di panchine e mai un esonero: un record per un calcio abituato a bruciare tutto in fretta, un appuntamento "inevitabile" per un tecnico che non ha smesso di crederci un istante. "Volevo una carriera migliore di quella da giocatore. E ho lottato per arrivare qui".
Ma quando ha capito che ce l'avrebbe fatta?
"Il primo giorno. Quando mi fu data la responsabilità della Primavera del Bologna. Passai la notte insonne. Mi ero scritto un discorso di tre pagine, ma quando mi trovai di fronte i ragazzi riuscii a leggere sì e no due righe. Poi stracciai il foglio, per andare a braccio: per dire tutto quello che sognavo. Per loro e per me. Alla fine furono tutti convinti. In quel momento ho capito che sarei diventato un buon allenatore".
Conte invece è stato anche un grande giocatore.
"Certo, aver frequentato lo spogliatoio, come ho fatto anch'io, è importante. Ma non conta essere stati grandi giocatori. Sono due mestieri troppo differenti".
Quanti anni allenerà ancora?
"Vivo alla giornata, a volte sento e vedo delle cose che mi fanno venir voglia di smettere, mollare".
Si sussurra che a fine stagione potrebbe fermarsi. Possibile?
"Possibile".
Una volta si diceva che un allenatore poteva sentirsi realizzato solo dopo aver allenato Juve, Inter o Milan.
"Per me non è così. Capisco che in quei club, tradizionalmente, si vince di più. Ma vincere, per me, vuol dire anche altro. Salvare la Reggina con tanti punti di penalizzazione è ancora più che vincere".
Lei ha fatto una lunga gavetta, eppure è sempre più frequente che ad allenatori giovanissimi venga concessa subito la classica chance. Stramaccioni, per fare un nome, ha tre anni in meno del suo capitano Zanetti. "Non sono stato mai invidioso. Mi interessa che siano contenti di me i giocatori che alleno e che ho allenato. La sfido a trovarne uno che non mi stima. Per il resto, i presidenti hanno tutto il diritto di fare le scelte che vogliono. Rischiano i loro capitali".
Lei ha fama di essere un po' antipatico...
"Lo dicono quelli che mi sono contro. C'è tanta invidia, c'è tanta gelosia, in questo mondo".
Lei parlava dei giocatori. Però se uno pensa ad allenatori che valorizzano i giocatori, il primo nome che viene in mente è quello di Zeman e non il suo. "Non entro nel merito. Io so perché certe cose non mi vengono riconosciute. Lo so e lo tengo per me".
Ma devono più Hamsik e Cavani a lei, oppure deve più lei a loro?
"Tra allenatori e giocatori c'è sempre uno scambio alla pari. Piuttosto succede che con lo stesso gruppo un allenatore possa fare bene e un altro possa fare danni incalcolabili".
Ma davvero non ha mai avuto un problema con un giocatore?
"Mai".
Neppure con Cassano?
"Con Cassano ho passato due anni bellissimi e ci siamo lasciati
abbracciandoci".
Però non giriamoci intorno. Lei ha l'etichetta, e non è giusto, di difensivista. "Certi santoni, o pseudo tali, non si accorgono neppure della differenza tra ripartenze a gioco veloce. Non si guarda a quale supremazia territoriale ha una squadra e si va avanti con queste banalità. Mi interessano piuttosto i giudizi delle persone che stimo. Come Guardiola, che mi chiedeva del Napoli".
La Juve non ha mai perso in campionato con Conte. Perché potrebbe succedere stavolta?
"Perché noi possiamo mettere in difficoltà chiunque".
Ma se nessuno batte la Juve, non sarà che la concorrenza qui non è proprio il massimo?
"Neanche i campioni d'Europa del Chelsea hanno battuto la Juve. No, loro sono davvero forti".
Ma quanto pesa il blasone di un club nell'arco di un campionato?
"In questo momento non rispondo".
Sibillino. Diciamo così: la sudditanza psicologica esiste ancora o no?
"In questo momento non rispondo".
Converrà che a Pechino è stato sbagliato non presentarsi alla premiazione della Juve.
"Il tempo ci ha confermato che abbiamo fatto benissimo. Saremmo stati lì, in campo, solo a calmare i giocatori".
Magari anche lei, visto che era stato espulso.
"Dopo quella partita mi è venuta, ma davvero, voglia di smettere".
Ma chi è, oggi, il miglior allenatore del campionato?
"Bisogna valutare i risultati in relazione alle potenzialità della squadra. Dunque il migliore finora è Maran del Catania".
Giocherete in uno stadio pieno e non capita spesso. Non le sembra che andare a vedere le partite costi troppo?
"Questi sono temi per dirigenti. Però da allenatore dico che non c'è nulla di più bello di giocare in uno stadio pieno, Sì, sarebbe giusto abbassare i prezzi e avvicinare la gente ai giocatori".
Il calcio naviga tra problemi di ogni tipo. "Ma non mi sembra che fuori dal calcio si viva molto meglio. Anzi. Mio padre e mia madre mi hanno sempre insegnato la cultura del lavoro. È normale, logico, che ognuno pensi a stare meglio, a migliorare la propria posizione, anche economica, Ma c'è un solo modo per farlo in pace con la propria coscienza: con l'impegno ed il sudore".
Dica la verità: Juve-Napoli come finisce?
"Le garantisco una grande prestazione".
E quale risultato?
"I risultati sono il frutto di episodi. È il bello del calcio. Ma a volte, mi creda, è anche il brutto del calcio...".