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    Massimo Moratti ricorda suo fratello: 'È stato un buono'

    Massimo Moratti ricorda suo fratello: 'È stato un buono'

    Alle pagine de "La Repubblica", l'ex presidente dell'Inter, Massimo Moratti, affida il proprio ricordo del fratello Gian Marco, scomparso ieri all'età di 81 anni. 

    Eravate in realtà due facce dello stesso specchio? 
    «Non lo so. Avevamo due caratteri diversi, ma abbiamo remato entrambi nella stessa direzione. Ho l’ambizione di dire che ci siamo completati e penso che Gian Marco non mi smentirebbe». 

    Era preparato alla sua scomparsa? 
    «Non si è mai preparati ai grandi dolori, sono ferite profonde che fanno male a giorni e anni di distanza. Lui era un combattente, ti dava sempre la sensazione che avrebbe scavallato un’altra montagna. E un’altra ancora. Per questo mi fa dire: se n’è andato ed è stata una sorpresa durissima da accettare». 

    Quando lo ha visto l’ultima volta e che cosa vi siete detti? 
    «È stato venerdì scorso. Abbiamo parlato come al solito delle nostre famiglie e del lavoro. Era contento perché la Saras stava andando bene in Borsa, avevamo fatto qualche piccolo progresso. Mi sembrava che lui stesse meglio. Poi domenica la situazione si è improvvisamente aggravata, nella notte è precipitata». 

    Quasi dieci anni di distanza tra voi due. Che cosa avevate, soprattutto, in comune? 
    «L’insegnamento di nostro padre che si può racchiudere in una frase sola: fate sempre le cose per bene. Vede, abbiamo avuto genitori bellissimi. Dobbiamo tutto a loro. Ricordo me bambino e Gian Marco adolescente, un periodo che ha costruito il nostro legame, le cose in cui mi ha aiutato, le confidenze, il mio spirito di emulazione. E poi l’avventura professionale che abbiamo lungamente condiviso. 
    Una vita». 

    Le riporto la battuta facile che correva a Milano. Gian Marco fa i soldi e Massimo li spende. Moratti ride, è lo stile che usa per replicare alle cattiverie. 
    «Una sciocchezza. Mi creda, non abbiamo mai litigato per un motivo che meriti di essere ricordato. Ci univano i sentimenti, non il lavoro. In azienda sapevamo sostituirci l’uno all’altro, anche se ciascuno aveva i suoi settori e responsabilità differenti». 

    In che cosa eccelleva suo fratello? 
    «Possedeva in particolare tre qualità: il buonsenso, la pazienza e l’umiltà di volere ascoltare le opinioni degli altri. Eppoi era tenace, una tenacia tale che mi pareva gli conferisse una patina di invincibilità. Stavi accanto a lui e ti sentivi al sicuro». 

    Non le ha mai detto: frena con l’Inter, smettila di innamorarti di Recoba e tutti gli altri, di spendere tutti quei soldi per un antico amore? 
    «No. So che lei non ci crederà, ma non me lo ha mai detto. Anche Gian Marco amava l’Inter, era un suo grande tifoso. Ma non ha mai voluto essere coinvolto nella gestione della società e della squadra. Non voleva essere invadente, ha sempre preteso e dato rispetto». 

    Come lo ricorderà? 
    «Era mio fratello. E nella parola fratello trovo tutto ciò che voglio dire di lui. Posso aggiungere solo una cosa piccola e semplice: è stato una persona buona».

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