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    Marocco in semifinale, la vittoria del sacrificio e del riscatto sociale. Ora i francesi non possono più fare gli arroganti

    Marocco in semifinale, la vittoria del sacrificio e del riscatto sociale. Ora i francesi non possono più fare gli arroganti

    • Furio Zara
      Furio Zara
    E alla fine l’arbitro di Marocco-Portogallo non ha fischiato la fine, ma l’inizio di una nuova epoca. Il Marocco in semifinale segna una svolta storica nel romanzo del calcio che ci raccontiamo da più di un secolo. E’ la prima africana in semifinale, dopo i tentativi di Camerun (1990), Senegal (2002) e Ghana (2010): si erano tutte fermate ai quarti. E’ anche la prima volta che il mondo arabo è entrato tra le prime quattro della Coppa del Mondo. E’ un fenomeno calcistico, certo. Ma è anche un fenomeno sociale. Non ci va solo il Marocco, in semifinale. Ci va un intero continente, con tutto il suo carico di sogni e di rivoluzioni più o meno mancate. E’ un fenomeno sociale, soprattutto. Girarsi dall’altra parte non si può.

    Nelle città italiane - dal Nord al Sud - i marocchini sono scesi in piazza a centinaia. In Italia vivono 428.947 marocchini. Sono dati dell’ultimo censimento ISTAT. Rappresentano l’8,3% della popolazione straniera nel nostro paese. L’Emilia-Romagna, con oltre sessantamila marocchini, è la regione più rappresentata. E’ una migrazione che ha inizio cinquant’anni fa. Nella sua fase iniziale il fenomeno dell’immigrazione marocchina verso l’Italia è strettamente collegato alla crisi petrolifera del 1973 in Medio Oriente, ma anche alle facilitazioni concesse dal governo italiano per poter ottenere il permesso di soggiorno. Attualmente quella marocchina è la prima comunità di cittadinanza non comunitaria in Italia. Ma i marocchini oggi sono in tutta Europa: da Roma ad Amsterdam, da Parigi a Berlino. E la nazionale ha conquistato la semifinale rappresenta bene e fotografa con precisione la mappa di una squadra che ha visto 17 dei 26 convocati del CT Walid Regragui nascere lontani dal Marocco. Hakimi è nato a Madrid, Boufal e Saiss a Parigi, Bounou a Montreal, Ziyech a Dontren, in Olanda, così come Amrabat, a Huizen, Amallah è nato ad Hautrage, in Belgio, così come in Belgio - a Strombeek-Bever, è nato El Khannous e via così.

    Cinque di loro hanno addirittura il passaporto spagnolo, ma quando si è trattato di scegliere la nazionale con cui giocare - pur potendo contare sulla possibilità della Roja - hanno ascoltato il cuore. Sono tutti figli di immigrati partiti negli anni 80 e 90, a caccia di fortuna e di lavoro. Gente umile, che ha fatto della fatica e del sacrificio la propria regola di vita. Così è cresciuto Walid Cheddira, che gioca nel Bari e da quelle parti chiamano “Ualino”, come Pasqualino: figlio d’arte, suo padre Aziz ha giocato nella prima serie marocchina, Walid è nato a Loreto, nelle Marche, e lì è cresciuto. Sono loro oggi gli uomini che fecero l’impresa. Sono loro ad aver portato il vento della diversità nel torneo, il primo - tra l’altro - organizzato da un paese arabo, il Qatar, che in queste ore li celebra. Ed è curioso che tutto questo accada nel Mondiale della globalizzazione, l’ultimo a 32 squadre, prima che dalla prossima edizione si passi allo spropositato numero di 48 partecipanti, come se la Coppa del Mondo per sua stessa natura avesse bisogno di crescere oltre misura, fino ad abbracciare l’intero villaggio globale del pallone, gli angoli più remoti del pianeta.

    In semifinale il Marocco troverà la Francia. Furono proprio i francesi - negli anni del colonialismo più spinto - a portare il calcio in Marocco, che divenne protettorato francese nel 1911. I francesi escludevano dal gioco i marocchini. Ora i tempi sono cambiati: non possono più farlo. E’ un buon segnale: ieri Parigi è stata invasa da marocchini e francesi che festeggiavano l’accesso alla semifinale, per una notte la si è trattato di una festa condivisa.

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