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    Maria Sole Ferrieri Caputi: 'Sessismo? Più rischi nelle serie minori, chiamatemi arbitro e non arbitra'

    Maria Sole Ferrieri Caputi: 'Sessismo? Più rischi nelle serie minori, chiamatemi arbitro e non arbitra'

    Buona la prima per Maria Sole Ferrieri Caputi. La 31enne livornese, dopo aver arbitrato Cagliari-Cittadella in Coppa Italia, ha dichiarato in un'intervista al Corriere della Sera: "Non è stato diverso dal solito. Un po' di emozione prima perché cambia il contorno, ma dentro al campo è tutto uguale. Ci tenevo a fare bene perché sapevo che stavo rappresentando un movimento intero, quello delle donne che arbitrano a tutti i livelli. Io sono solo la punta dell'iceberg di un mondo che sta crescendo. Sono soddisfatta, ma ho ancora tanto da imparare". 

    "Lavoro a Bergamo in un centro studi di diritto del lavoro e sto completando il dottorato. Ho una vita piena, ma sono felice. Due nomi e due cognomi? Qualche origine nobile c'è, ma di 400 anni fa. Vengo da una famiglia normalissima. Sono cresciuta a due passi dal Picchi, ci andavo fin da piccolina con mio papà a tifare il Livorno. La mia passione è iniziata lì. Da bimba volevo giocare a calcio, ma la mamma non voleva. Erano altri tempi, non si vedeva di buon occhio una ragazzina che correva dietro a un pallone. Oggi per fortuna è diverso. A 16 anni mi sono iscritta al corso arbitri della sezione di Livorno, un colpo di fulmine". 

    "Prima partita? Antignano Banditella Sorgenti, categoria Esordienti, gennaio 2007. È andata bene. Ho espulso il portiere e la sua mamma mi ha aspettato fuori. Poi, quando ha visto tutti i miei parenti che erano venuti a vedere me, almeno una decina, è andata via. Nel prossimo turno infrasettimanale di serie A c'è la campagna 'Rosso a chi tocca' per sensibilizzare sul tema della violenza, che riguarda soprattutto gli arbitri più giovani. Inaccettabile quello che succede ogni domenica sui campetti, adesso basta. Per fortuna io non mi sono mai sentita per davvero in pericolo. Qualche giocatore maleducato l'ho trovato, ma il problema vero è chi sta fuori. Il giocatore lo gestisco, ma la voce sguaiata, l'insulto del tizio attaccato alla rete di un campetto con venti spettatori lo senti e fa male, più di un coro in uno stadio da 20mila persone. Anche perché nel campetto di periferia sei da solo". 
    "Insulti sessisti? Anche lì più sali di categoria e meno guardano questo aspetto, se sei uomo o donna. A livello professionistico paradossalmente è tutto più semplice, in quel senso. Gli allenatori? Se esagerano, li butto fuori: è semplice". 

    "Modelli? La francese Frappart ha fatto scuola per tante ragazze, come la nostra Vitulano. In generale tutte quelle colleghe che hanno fatto da apripista. Gli uomini? Quelli di serie A sono tutti diversi come stile, ma tutti bravissimi. Io sono naturale, spontanea. Quel che sento di fare, lo faccio. Tutto qua. Il Var è una garanzia. Ho esperienza limitata, cerco di non sbagliare, ma so di avere una specie di angelo custode che mi corregge se serve". 

    "A quando una donna in serie A? Speriamo presto. Arbitro o arbitra? Arbitro. Personalmente lo preferisco. Come preferisco sindaco a sindaca. Novanta volte su cento quando mi dicono arbitra è per sottolineare che sono una donna. Quindi preferisco arbitro. Credo che quando non ci sarà più l’esigenza di sottolinearlo, allora vorrà dire che ci sarà davvero parità". 

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