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    Marchisio, il nuovo Tardelli

    Marchisio, il nuovo Tardelli

    Non mente mai il rettangolo di gioco. Nel lungo periodo il merito emerge andando a delineare i valori reali. Quando il treno  giusto passa un campione, a differenza di onesti mestieranti, si fa sempre trovare pronto. Lo spartiacque nella carriera di Claudio Marchisio coincide soprattutto con un gol,  il 5 dicembre 2009; un gol che spazza via ogni equivoco. Quel giorno arrivo a Torino nel pomeriggio inoltrato, in leggero ritardo sulla “tabella di marcia”. Subito un intoppo: nessuna traccia dell’accredito. Tutto sommato è allettante l’idea di una comoda e riscaldata camera d’albergo. In breve sono già al Lingotto davanti allo schermo. Ci sono attimi da condividere, altri pretendono isolamento, concentrazione, una tv per “gohonzon”. Cala un religioso silenzio, succede quando il calcio diventa una fede. L’Inter è la squadra da battere, la Vecchia Signora è sotto in classifica. Nei primi minuti Mourinho si fa espellere e il primo tempo si chiude sull’1-1.  

    Nella ripresa i nerazzurri spingono ma al 13°  Buffon dopo aver sventato un attacco, rilancia ed innesca un contropiede. Diego riceve e prolunga  lungo l’out di sinistra. Marchisio scatta e fa sua la palla, gli viene incontro Samuel per contrastarlo. Il bianconero accenna a puntare l’avversario ma decide di servire l’accorrente Sissoko che stoppa e tira. Julio Cesar non trattiene, sulla respinta Marchisio si avventa come un  falco.  D’istinto e  per immedesimazione mi alzo  in piedi, come Claudio ho intuito l’evolversi dell’azione. Marchisio evita Samuel dribblandolo con magia brasiliana. La palla  scompare e ricompare passando da un piede all’altro. Julio Cesar si lancia  a terra,  Claudio lo beffa con scavetto millimetrico.   2-1. Vola verso la curva. Nei miei pensieri scandita come un mantra continua a scorrere la sequenza di quel piccolo capolavoro. Tempismo, tecnica, classe, caparbietà, coordinazione, rapidità, scaltrezza, opportunismo  concentrati in  un’unica azione. Adesso  realizzo, cresce la gioia:  è una scommessa vinta. 

    La partita potrebbe finire qui. Corre indietro la memoria a quel giugno 2006: Rimini. Fiorentina-Juventus, finale del campionato primavera. Molte promesse in campo: De Falco, Pettinari, Bellazzini, Di Carmine, D’Ambrosio, Brivio  tra i gigliati.  Prima dell’inizio  c’è il tempo di una pizza  nei pressi dello stadio Romeo Neri.  Con me è un osservatore, poco distante una tavolata di cronisti fiorentini tra i quali il grande Mario Ciuffi.  Nel tavolo accanto al nostro siede una coppia, a un tratto il marito si intromette nella conversazione. È in vena di parlare  però ha un’ottima  conoscenza dei giovani bianconeri, particolare che suscita la mia curiosità. Mi chiede se conosco la Juventus Primavera. “Ho visto alcune  partite, stravedo per Marchisio (mi sbilancio), giocatore universale. Sarà un grande calciatore”. A quel punto l’uomo si presenta: “Piacere! Sono Stefano Marchisio (gonfiando il petto), il padre di Claudio".        
                                                 
    Da quella stretta di mano nascono quattro  anni intensi, stimolanti battaglie e immense soddisfazioni. La Juventus vince la finale laureandosi campione d’Italia. È la primavera di De Ceglie, Criscito, Giovinco, è soprattutto  la Juventus  di Marchisio. Ripenso  al San paolo, avversario  il Napoli,  Deschamps in panchina.  Un esordio da predestinato: corsa continua, stop raffinati, doppi passi e conclusioni a rete. Già in  quel momento è del tutto evidente  il suo enorme talento. Eppure ancora  troppi  gli addetti ai lavori  inclini ad esaltarne la generosità  piuttosto che il valore tecnico, a preferire un nome  alternativo, meglio se  straniero.  Un Nocerino  prima o un Poulsen poi, Cigarini, Tiago, Melo, D’Agostino, Sissoko, è  sempre Marchisio a dover sgomitare  per conquistare spazio.  

    La pensa in maniera diversa un fine intenditore.  È una voce  fuori dal coro ma  il suo parere è incisivo e  toccante. Dopo un Juve-Milan  (novembre 2008), nella sua rubrica sulla Gazzetta dello Sport, “Borgo-gol” con intuizione geniale definisce  il giovane  centrocampista bianconero “ il nuovo Tardelli”. 

    Non importa quanto quel paragone  fosse azzeccato, di sicuro lo era  per quel modo di correre  ingobbito e per l’attitudine ad aggredire ogni spazio.  Non importa quanto talento fosse necessario aggiungere o sottrarre all’uno o all’altro. Con quell’ “etichetta” Marchisio è entrato dirompente nel cuore del tifo bianconero. 

    Il telefono squilla e mi riporta alla realtà,  la Juve ha battuto l’Inter. È Claudio.  Mi chiede di raggiungerlo al più presto, è  euforico, smania dalla voglia di condividere quella felicità.  Ogni impresa nel calcio viene presto archiviata, anche le emozioni svaniscono velocemente.  Il momento però è di quelli da fissare nella memoria. Senza  una parola ci abbracciamo. 

    Come  Lothar  Matthaus  ed  i più grandi interpreti del ruolo,  anche Marchisio  possiede quattro fasi: interdizione, impostazione, rifinitura, conclusione. Lo rendono un giocatore completo e universale, uno dei più forti nel panorama mondiale. Manca solo un successo internazionale  per conquistare un posto di rilievo  nella storia bianconera. Fondamentale l’imminente appuntamento in Champions. Claudio ci sarà. Doveva essere così. Quando passa  il treno giusto  non è da tutti farsi trovare pronti.
     
    Vorrei veder Marchisio scuotere testa e braccia, incredulo correre urlando “gol”. Pugni stretti  per  trattener  la gioia, follia degli occhi perduti  nell’oblio. Marchisio come Tardelli, ancora una volta. Non mente il rettangolo di gioco. Mai. Chissà lassù cosa direbbe Borgo.   

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