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Marchisio, il nuovo Tardelli
Nella ripresa i nerazzurri spingono ma al 13° Buffon dopo aver sventato un attacco, rilancia ed innesca un contropiede. Diego riceve e prolunga lungo l’out di sinistra. Marchisio scatta e fa sua la palla, gli viene incontro Samuel per contrastarlo. Il bianconero accenna a puntare l’avversario ma decide di servire l’accorrente Sissoko che stoppa e tira. Julio Cesar non trattiene, sulla respinta Marchisio si avventa come un falco. D’istinto e per immedesimazione mi alzo in piedi, come Claudio ho intuito l’evolversi dell’azione. Marchisio evita Samuel dribblandolo con magia brasiliana. La palla scompare e ricompare passando da un piede all’altro. Julio Cesar si lancia a terra, Claudio lo beffa con scavetto millimetrico. 2-1. Vola verso la curva. Nei miei pensieri scandita come un mantra continua a scorrere la sequenza di quel piccolo capolavoro. Tempismo, tecnica, classe, caparbietà, coordinazione, rapidità, scaltrezza, opportunismo concentrati in un’unica azione. Adesso realizzo, cresce la gioia: è una scommessa vinta.
La partita potrebbe finire qui. Corre indietro la memoria a quel giugno 2006: Rimini. Fiorentina-Juventus, finale del campionato primavera. Molte promesse in campo: De Falco, Pettinari, Bellazzini, Di Carmine, D’Ambrosio, Brivio tra i gigliati. Prima dell’inizio c’è il tempo di una pizza nei pressi dello stadio Romeo Neri. Con me è un osservatore, poco distante una tavolata di cronisti fiorentini tra i quali il grande Mario Ciuffi. Nel tavolo accanto al nostro siede una coppia, a un tratto il marito si intromette nella conversazione. È in vena di parlare però ha un’ottima conoscenza dei giovani bianconeri, particolare che suscita la mia curiosità. Mi chiede se conosco la Juventus Primavera. “Ho visto alcune partite, stravedo per Marchisio (mi sbilancio), giocatore universale. Sarà un grande calciatore”. A quel punto l’uomo si presenta: “Piacere! Sono Stefano Marchisio (gonfiando il petto), il padre di Claudio".
Da quella stretta di mano nascono quattro anni intensi, stimolanti battaglie e immense soddisfazioni. La Juventus vince la finale laureandosi campione d’Italia. È la primavera di De Ceglie, Criscito, Giovinco, è soprattutto la Juventus di Marchisio. Ripenso al San paolo, avversario il Napoli, Deschamps in panchina. Un esordio da predestinato: corsa continua, stop raffinati, doppi passi e conclusioni a rete. Già in quel momento è del tutto evidente il suo enorme talento. Eppure ancora troppi gli addetti ai lavori inclini ad esaltarne la generosità piuttosto che il valore tecnico, a preferire un nome alternativo, meglio se straniero. Un Nocerino prima o un Poulsen poi, Cigarini, Tiago, Melo, D’Agostino, Sissoko, è sempre Marchisio a dover sgomitare per conquistare spazio.
La pensa in maniera diversa un fine intenditore. È una voce fuori dal coro ma il suo parere è incisivo e toccante. Dopo un Juve-Milan (novembre 2008), nella sua rubrica sulla Gazzetta dello Sport, “Borgo-gol” con intuizione geniale definisce il giovane centrocampista bianconero “ il nuovo Tardelli”.
Non importa quanto quel paragone fosse azzeccato, di sicuro lo era per quel modo di correre ingobbito e per l’attitudine ad aggredire ogni spazio. Non importa quanto talento fosse necessario aggiungere o sottrarre all’uno o all’altro. Con quell’ “etichetta” Marchisio è entrato dirompente nel cuore del tifo bianconero.
Il telefono squilla e mi riporta alla realtà, la Juve ha battuto l’Inter. È Claudio. Mi chiede di raggiungerlo al più presto, è euforico, smania dalla voglia di condividere quella felicità. Ogni impresa nel calcio viene presto archiviata, anche le emozioni svaniscono velocemente. Il momento però è di quelli da fissare nella memoria. Senza una parola ci abbracciamo.
Come Lothar Matthaus ed i più grandi interpreti del ruolo, anche Marchisio possiede quattro fasi: interdizione, impostazione, rifinitura, conclusione. Lo rendono un giocatore completo e universale, uno dei più forti nel panorama mondiale. Manca solo un successo internazionale per conquistare un posto di rilievo nella storia bianconera. Fondamentale l’imminente appuntamento in Champions. Claudio ci sarà. Doveva essere così. Quando passa il treno giusto non è da tutti farsi trovare pronti.
Vorrei veder Marchisio scuotere testa e braccia, incredulo correre urlando “gol”. Pugni stretti per trattener la gioia, follia degli occhi perduti nell’oblio. Marchisio come Tardelli, ancora una volta. Non mente il rettangolo di gioco. Mai. Chissà lassù cosa direbbe Borgo.