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    Maradona non era un evasore, in quella storia il vero colpevole è stato l’Erario

    Maradona non era un evasore, in quella storia il vero colpevole è stato l’Erario

    Di tutte le storie sui vizi e gli errori della leggenda del calcio appena scomparsa, ce n’è una che è davvero una leggenda: Diego Armando Maradona era un evasore fiscale. Ma sebbene diverse sentenze tributarie arrivate in Cassazione abbiano stabilito che avesse un debito con l’erario di circa 40 milioni di euro (molti di più di quanti ne abbia guadagnati nei sette anni in Italia) - scrive Luciano Capone su Il Foglio - la realtà è che Maradona era innocente. O meglio, era colpevole di non essere stato in grado di difendersi. Come invece hanno fatto i compagni di squadra vittime di identiche contestazioni: Alemao, Careca e la Società sportiva calcio Napoli, che hanno ottenuto l’annullamento delle pretese dell’Erario.

    La denuncia, nel 1989, di due sindacalisti della Cgil porta a un’indagine penale sui compensi, ulteriori allo stipendio, pagati dal Napoli ai tre calciatori sudamericani per lo sfruttamento dei diritti d’immagine attraverso società con sede all’estero (in Liechtenstein per Maradona): l’ipotesi era che queste operazioni fossero un’“interposizione fittizia di persona” per non pagare le tasse (i contributi la società e l’Irpef il calciatore). I giudici penali hanno escluso per tutti i calciatori – Maradona incluso – che quei corrispettivi fossero retribuzioni mascherate, ma in parallelo era partito un procedimento tributario che ha seguìto la sua strada. Che però non ha mai incrociato quella di Maradona. Il campione infatti fuggì da Napoli il 1 aprile 1991, giorno di Pasquetta, dopo essere risultato positivo all’antidoping. L’accertamento tributario arrivò alla sua casa in via Scipione Capece mesi dopo, il 29 ottobre, ma Maradona – si legge nella notifica – risultava “sloggiato e sconosciuto”. 

    Non essendone a conoscenza non ha potuto impugnare l’accertamento. Né, dopo le “assoluzioni” di Careca, Alemao e del Napoli di Corrado Ferlaino, per lui è stato possibile fare ricorso perché i termini erano scaduti. Così il giudizio è diventato definitivo, insieme al marchio infame di “evasore”, che lo ha perseguitato per anni tenendolo lontano dall’Italia.

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