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Mancini: "Vialli, Mihajlovic ed Eriksson mi hanno lasciato il deserto nel cuore"
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C’è spazio per i ricordi e per momenti di grande commozione nell’intervista a Il Giornale a Roberto Mancini nel giorno in cui festeggia i 60 anni. L’ex ct della Nazionale è stato prima di tutto questo un grandissimo giocatore a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta e non può mancare un pensiero a ciò che il calcio ha rappresentato per lui. "Sono nato col pallone", dice Mancini. Una passione così forte da averlo portato ad una rinuncia importante come la scuola, abbandonato dopo la conclusione della terza media ("E’ un grande rimpianto"), ma soprattutto dovendo staccarsi dalla sua famiglia per inseguire il suo sogno di diventare un giocatore professionista. “E’ stato sicuramente un trauma, in particolare il primo anno lontano fu veramente duro”. Sacrifici che lo hanno portato a raggiungere grandi traguardi, come l’esordio in Serie A a 16 anni e 9 mesi e il primo gol dopo appena quattro partite. Dopo gli inizi da predestinato nel settore giovanile del Bologna.
Eppure, come racconta Mancini a Il Giornale, gli inizi non erano stati semplici, anche sul piano calcistico: “Durante il primo provino a Casteldebole, alla fine del primo tempo mi fecero uscire e non mi fecero più giocare. Pensai che mi avessero scartato e che non ero all’altezza. Era andata male. Ero molto triste. In realtà, mi avevano tolto per nascondermi. Non volevano che gli osservatori di altre squadre mi vedessero. Il provino era andato benissimo, avevano deciso di prendermi dopo neanche mezz’ora di gioco. Però tornammo a casa rassegnati, senza dire niente a mamma. Dopo un mese arrivò la telefonata: “Preparate le valigie a Roberto perché deve trasferirsi a Bologna”. Una felicità che non dimenticherò mai”.
Un’emozione diversa fu invece quella del primo stipendio da calciatore: "Dopo il primo mese mi chiamano e mi danno 40.000 lire. Ricordo che io chiesi: “Perché mi date 40.000 lire?”. Loro mi risposero che era un rimborso spese. Io dissi: “Ma perché, ci pagate per giocare a pallone?”. Era il 1978. Non riuscivo a capire perché mi pagassero per divertirmi”.
Figura fondamentale alla Sampdoria, la squadra alla quale Roberto Mancini è più legato, fu quella del presidente Alfredo Mantovani. Questo è il suo ricordo a Il Giornale: “Un presidente meraviglioso. Mise su una squadra incredibile: eravamo uniti, vivevamo tutti per la maglia. Abbiamo vinto uno scudetto, siamo arrivati in finale di Coppa Campioni, 15 anni di vita stupenda. Con la sua morte nel 1993, finì un’epoca. Non posso non citare il direttore sportivo Paolo Borea che dal Bologna mi ha portato a Genova”. Sampdoria vuol dire Mancini e Vialli, una coppia di amici e di fuoriclasse capace di scrivere pagine indelebili di storia del calcio italiano ed internazionale. Una figura che, come quella di Sinisa Mihajlovic e Sven Goran Eriksson, manca tantissimo: "Lei non può immaginare nemmeno quanto.. Che solitudine, che deserto mi hanno lasciato nel cuore".
Se Mantovani è stata la figura di riferimento del “primo” Mancini, il numero uno della Lazio dell’epoca Sergio Cragnotti è stato l’artefice della seconda metà della sua vita calcistica. Queste le sue parole a Il Giornale: "Sì, il presidente della Lazio era Cragnotti e io andai con Eriksson, che era allenatore della Samp e passò alla Lazio. Anche lì furono tre anni importanti da giocatore. Sette trofei. Dopo aver vinto lo scudetto e la Coppa Italia ho smesso di giocare e ho iniziato a fare l’assistente di Eriksson in panchina per sei mesi, nel frattempo ho preso il patentino d’allenatore”.
Eppure, come racconta Mancini a Il Giornale, gli inizi non erano stati semplici, anche sul piano calcistico: “Durante il primo provino a Casteldebole, alla fine del primo tempo mi fecero uscire e non mi fecero più giocare. Pensai che mi avessero scartato e che non ero all’altezza. Era andata male. Ero molto triste. In realtà, mi avevano tolto per nascondermi. Non volevano che gli osservatori di altre squadre mi vedessero. Il provino era andato benissimo, avevano deciso di prendermi dopo neanche mezz’ora di gioco. Però tornammo a casa rassegnati, senza dire niente a mamma. Dopo un mese arrivò la telefonata: “Preparate le valigie a Roberto perché deve trasferirsi a Bologna”. Una felicità che non dimenticherò mai”.
Un’emozione diversa fu invece quella del primo stipendio da calciatore: "Dopo il primo mese mi chiamano e mi danno 40.000 lire. Ricordo che io chiesi: “Perché mi date 40.000 lire?”. Loro mi risposero che era un rimborso spese. Io dissi: “Ma perché, ci pagate per giocare a pallone?”. Era il 1978. Non riuscivo a capire perché mi pagassero per divertirmi”.
Figura fondamentale alla Sampdoria, la squadra alla quale Roberto Mancini è più legato, fu quella del presidente Alfredo Mantovani. Questo è il suo ricordo a Il Giornale: “Un presidente meraviglioso. Mise su una squadra incredibile: eravamo uniti, vivevamo tutti per la maglia. Abbiamo vinto uno scudetto, siamo arrivati in finale di Coppa Campioni, 15 anni di vita stupenda. Con la sua morte nel 1993, finì un’epoca. Non posso non citare il direttore sportivo Paolo Borea che dal Bologna mi ha portato a Genova”. Sampdoria vuol dire Mancini e Vialli, una coppia di amici e di fuoriclasse capace di scrivere pagine indelebili di storia del calcio italiano ed internazionale. Una figura che, come quella di Sinisa Mihajlovic e Sven Goran Eriksson, manca tantissimo: "Lei non può immaginare nemmeno quanto.. Che solitudine, che deserto mi hanno lasciato nel cuore".
Se Mantovani è stata la figura di riferimento del “primo” Mancini, il numero uno della Lazio dell’epoca Sergio Cragnotti è stato l’artefice della seconda metà della sua vita calcistica. Queste le sue parole a Il Giornale: "Sì, il presidente della Lazio era Cragnotti e io andai con Eriksson, che era allenatore della Samp e passò alla Lazio. Anche lì furono tre anni importanti da giocatore. Sette trofei. Dopo aver vinto lo scudetto e la Coppa Italia ho smesso di giocare e ho iniziato a fare l’assistente di Eriksson in panchina per sei mesi, nel frattempo ho preso il patentino d’allenatore”.
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Mancini ha fatto bene negli anni della Lazio, ma ricordo anche come si e' comportato in piena buf...