Malù, primo ds nero in Italia: 'Gli studi con Pradè e Secco, ma sono straniero!'
Malù, partiamo dalla sua storia.
"Sono nato in Congo, a Kinshasa, il 14 agosto 1976. Da piccolo mi sono trasferito in Italia con la mia famiglia a Mondovì, in provincia di Cuneo, dove ho fatto tutto il percorso scolastico, poi mi sono trasferito a Torino per l’università, rimanendo lì fino alla laurea. Ho anche giocato, ero difensore centrale: sono arrivato fino all’Interregionale, poi ho dovuto smettere per problemi fisici. Quindi mi sono detto: voglio arrivare nel mondo del calcio, se non posso farlo da giocatore allora lo farò da addetto ai lavori, e il mio sogno era diventare direttore sportivo. Già da ragazzo un po’ lo ero: alla fine di ogni partita avevo l’abitudine di andare a chiedere il numero di casa, il cellulare ancora non c’era, ai due-tre giocatori più bravi della squadra avversaria, e poi durante l’estate li chiamavo per portarli nella mia squadra. Fin da bambino sentivo dentro di me l’anima da ds, e questo mi ha fatto capire che era la cosa che volevo fare".
Parliamo del suo percorso professionale: qual è stata la sua prima esperienza diretta nel calcio?
"Prima di prendere il patentino, nel 2002 sono andato all’Al-Ittihad nella squadra di Gheddafi, poi nel 2004 ho fatto il corso e ho preso il patentino. Nel 2007 mi sono occupato del mercato estero del Cesena, poi della nazionale del Congo dal 2008 al 2012. Avevo accettato quest’ultimo progetto per convocare i giovani talenti congolesi convincendoli a giocare per la nazionale d’origine. Avevo chiamato ad esempio Matuidi, N’Zonzi e Mandanda, che all’epoca erano neanche ventenni: avevo capito che erano potenziali stelle, poi la nazionale francese li ha convocati nelle loro nazionali giovanili e li abbiamo persi. Ma mi ha molto inorgoglito che ora alcuni di loro siano diventati campioni del Mondo. Nel 2010 anche la breve ma intensa esperienza a Catanzaro, dove purtroppo non avevo una società a supportarmi. Ma di Catanzaro ho un bel ricordo: della città, delle persone che ho conosciuto, dei tifosi che mi hanno sempre portato rispetto".
Ha avuto difficoltà a fare questo mestiere in Italia per le sue origini?
"Si, ma non mi piace fare la vittima, anche se in cuor mio ho sempre sofferto questa cosa. Io ho fatto il corso a Coverciano con Daniele Pradé, Alessio Secco, Gianluca Nani, Massimo Bava. C’erano direttori sportivi che hanno avuto già all’epoca opportunità importantissime. Non è un discorso razziale, ma un discorso di opportunità. Ci sono certi lavori in cui è difficile essere scelto per un italiano indigeno, a maggior ragione diventa più complicato per uno “straniero”, che poi io sono italiano di nazionalità e di formazione ma molti mi vedono sempre come l’africano, dunque per uno straniero è difficile realizzarsi in Italia. Non è facile per nessuno, non è che per il mio amico italiano bianco lo è, ma per me è ancora più difficile, questo si. Mi sono sempre fatto forza in cuor mio: sapevo che, se ce l’avessi fatta, sarei diventato il primo ds di origine africana in Italia. E per me e la mia gente, che mi ha sempre seguito, incitandomi a non mollare, ad essere un esempio di integrazione positiva in Italia, a maggior ragione in questo momento in cui su questo argomento se ne sentono di tutti i colori, avercela fatta è motivo d’orgoglio e una gioia che dedico alla mia famiglia, a mia madre che mi ha educato in Italia con dei valori sani. Al di la del discorso prettamente lavorativo, vedo tanti ragazzi di origine africana, o in generale stranieri, che mi dicono che sono un esempio".
Arriviamo al presente: da pochi giorni è il nuovo ds del Rieti, neopromosso in Serie C. Quale è il suo progetto?
"Il mio Rieti sarà una piccola Udinese: giocatori sconosciuti che in prospettiva possono divenire plusvalenze importanti. Faremo un melting pot, un progetto multietnico per dare una possibilità a giocatori giovani e di prospettiva, per poi rivenderli in Italia e all’estero. L’obiettivo, come per ogni neopromossa, è la salvezza, mettendo in vetrina giovani talenti".
Lei è ancora giovanissimo. Quali sono i sui sogni nel cassetto? "Il mio sogno è arrivare in Serie A. L’anagrafe è ancora dalla mia, spero di lavorare bene e di meritarmi una chiamata importante, ma non la vivo come un’ossessione. Vado avanti passo dopo passo, e proverò a giocarmi al meglio questa opportunità che mi è stata data".
Lei è anche un affermato opinionista. Quale è il suo parere sull’affare Ronaldo-Juventus? Può essere il primo passo per riportare il calcio italiano ai livelli più alti?
"Assolutamente, è un bene sia per la Juve che per il calcio italiano. Il giocatore più importante del mondo vuol dire interesse per il nostro campionato, tanti big che prima snobbavano il calcio italiano dopo l’arrivo del numero 1 possono cambiare idea. La Juventus ha fatto il colpo del secolo, non solo dal punto di vista sportivo".
Nel possibile scambio Higuain-Bonucci, chi ci guadagnerebbe tra Milan e Juve?
"Entrambe le squadre: Bonucci tornerebbe a casa dopo un anno tra alti e bassi a Milano, Higuain invece andrebbe in una squadra da rilanciare dove sarebbe la star, il protagonista, cosa che alla Juve dopo l’arrivo di Ronaldo non sarebbe più".
Qual è, finora, il colpo dell’estate?
"Io mi aspetto ancora qualcosa dal Napoli, credo che farà un acquisto importante. In ogni caso Fabian Ruiz è molto bravo, potrebbe essere lui il colpo dell’anno".
Chi è il miglior prospetto di origine africana attualmente in Serie A? "Sono due, Barrow e Diawara. Ho sentito che Ancelotti ripone grande fiducia in Diawara: questo può essere l’anno della sua consacrazione, così come per Barrow, che già l’anno scorso quando è stato chiamato in causa da Gasperini ha fatto bene".
Un giocatore che consiglia dal mercato estero?
"Cristopher Jullien del Tolosa, un difensore centrale di 25 che seguo da quando giocava in Ligue 2 nel Digione: mi piace molto".