Maldini dopo Zanetti, Totti, Nedved e Antognoni: è dura essere una bandiera
E’ un lavoro duro, quello delle bandiere. Non è che ci nasci, lo diventi un po’ alla volta. Diventi te stesso, un po’ alla volta. Bellini è entrato all’Atalanta che aveva appena dieci anni: tutta una vita in nerazzurro. L’anno scorso ha lavorato nella Primavera, poi si è iscritto al corso da ds: il futuro (ri)partirà da Bergamo. Scelte di cuore, scelte forgiate dal destino. Nedved è juventino nell’anima da quando - operazione di Luciano Moggi - sbarcò con un aereo a Torino, doveva essere una giornata passata a scoprire la città, era ancora indeciso se rimanere o meno alla Lazio, da Torino non se n’è più andato. Marco Di Vaio ha vissuto il suo - straordinario - finale di carriera a Bologna: quattro anni, sembrava un tramonto, fu invece il miglior congedo possibile per un ragazzo di Roma - cresciuto nella Lazio - che a Bologna ha trovato una seconda casa. Da qualche anno - di ritorno da Montreal dove ha chiuso la carriera - è stato tra i primi club manager del nostro calcio. E’ lo stesso ruolo di Giancarlo Antognoni. Immaginarlo lontano da Firenze è un azzardo. Eppure. Per tanti anni il «10» è stato tenuto fuori dalla porta. Troppo scomodo. Solo da poco è rientrato, accolto come si fa con il figliol prodigo. E comunque si fa presto ad arrotolare le bandiere. Nessuno dimentichi la vergognosa uscita di scena di Paolo Maldini, fischiato da San Siro nel giorno dell’addio. Uno sfregio ad un ombre vertical come ce ne sono e ce ne sono stati pochi in giro negli ultimi trent’anni di calcio. Nel calcio si dimentica tutto in fretta. Non c’è riconoscenza, ma c’è la capacità di riconoscere l’errore (fatto da altri). Maldini che torna al Milan è il ritorno a casa di un campione, è una garanzia per il futuro.