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  • Ma la Superlega di herr Reichart non ha nulla di super

    Ma la Superlega di herr Reichart non ha nulla di super

    • Pippo Russo
      Pippo Russo
    Il signor Bernd Reichart suscita sincero interesse antropologico. Da quattro mesi chiamato a svolgere il ruolo di Ceo di A22 Sports Management, la società di diritto spagnolo che sta cercando di rianimare il cadavere della Superlega europea per club, si trova costretto a recitare un ruolo da bipolare di professione. Praticamente la trasformazione di un disturbo da DSM 5 in strumento di lavoro, l'applicazione delle psicopatologie del quotidiano alle strategie di management. E va detto che herr Reichart ci riesce anche discretamente. Lo pagano per questo e lui la pagnotta se la guadagna tutta. E se per portarla a casa gli tocca tenere il ramoscello d'ulivo in una una mano e il revolver nell'altra, lui lo fa sine ira ac studio.

    Deve svolgere una missione intrinsecamente contraddittoria, tutta da giocare sul filo del paradosso: cercare il dialogo con la parte cui è stata dichiarata guerra aperta nemmeno due anni fa, ma senza che i termini di quella dichiarazione di guerra siano stati minimamente modificati. L'obiettivo di A22 e di chi lo alimenta rimane infatti quello di organizzare una competizione europea per club al di fuori del perimetro Uefa, ciò che automaticamente comporta un conflitto duro con la confederazione calcistica europea che si vedrebbe scippare un prodotto suo, costruito nel corso dei decenni e portato a un alto grado di sviluppo. E tuttavia il signor Reichart vorrebbe che quello scippo avvenisse in modo “consensuale”, attraverso la via del dialogo. Che è come se il borseggiatore vi avvicinasse sul bus e vi dicesse: «Sta' a sentire: io vorrei ciularti il portafogli, però parliamone, magari troviamo un punto d'incontro».

    Ovviamente la reazione della controparte non poteva essere diversa da quella cui abbiamo assistito, ma herr Reichart non demorde. E poiché il cosiddetto dialogo non ha nessuna possibilità di andare avanti, ecco che lui prova a spostare la questione sul piano comunicativo. Cioè la esternalizza, lanciando proclami e programmi di grandezza col solo scopo di portare dalla propria parte quote di opinione pubblica, da spendere al tavolo di una trattativa che non è mai esistita.
    Del resto, la comunicazione è il suo mestiere. Lavora nel settore da oltre vent'anni, fra la natia Germania e la Spagna, che è la sua terra d'adozione. E l'esperienza maturata in materia di produzione e commercializzazione dei diritti televisivi sullo sport gli rende un bagaglio di competenze che in questa fase storica e economica del calcio internazionale risulta preziosa. Tuttavia, oltre l'esile strato della comunicazione, cosa rimane di sostanziale abbastanza da legittimare questa richiesta di una Superlega del calcio europeo? Risposta: nulla. A meno che non si voglia tornare a usare gli argomenti dell'arroganza da super-ricchi (“noi siamo i migliori, lasciateci fare come pare a noi e forse vi dispensiamo qualche avanzo del banchetto”) la cui messa al bando è stata propedeutica all'arruolamento del “dialogante” Reichart, Dunque rimane null'altro che una comunicazione fatta di frasi esili e calligrafiche, supercazzole patinate messe lì apposta per provare a accontentare tutti. In questo senso è esemplare il testo diffuso nei giorni scorsi da A22 e pomposamente intitolato “Dieci principi”. Infarcito di devastanti banalità quali “Tornei nazionali: la base del calcio”, o “La salute dei giocatori deve essere al centro del gioco”, o “Migliorare la competitività con risorse stabili e sostenibili”. Roba da Premio GAC ad honorem, il tutto declamato con lo spirito di chi si schiera contro la fame nel mondo.  Avete mai trovato qualcuno che sia a favore?

    Il problema semmai è passare dai (banalissimi) principi all'azione pratica. E sul piano dell'azione pratica il Ceo di A22 sta mostrando tutti quei limiti che appartengono non tanto a lui, quanto a un progetto che è semplicemente irriformabile. Ciò che rende velleitario il tentativo di Reichart, che per riformare l'irriformabile ce la sta mettendo tutta. Perché la nuova versione della Superlega europea per club, semplicemente, non è una Superlega. È soltanto una maldestra scopiazzatura dell'esistente. Parlare di un torneo da 60-80 squadre, basato sulla meritocrazia e non sul privilegio, con meccanismo di promozione e retrocessione nonché privo di membri permanenti, significa, semplicemente volere una cosa totalmente distante dalla Superlega. Che nei principi può anche risultare detestabile ma almeno ha una sua coerenza: la secessione delle élite calcistiche tramite creazione di un club esclusivo. E invece la nuova formula prefigurata da herr Reichart è un pastone privo di senso, una nuova competizione che dovrebbe prendere il posto di quelle esistenti senza presentare la minima ragione per la quale dovrebbe sostituirle. Ma l'importante è che ci sia il dialogo. “Me lo dai il portafogli senza che te lo debba ciulare?”.

    Il tutto in attesa che, a proposito di dialogo, la Corte di Giustizia Europea si pronunci sul procedimento presentato dalla stessa A22 contro Uefa e Fifa. Un procedimento fondato su una pretesa altrettanto strampalata, sintetizzabile più o meno così: “Possiamo farvi concorrenza, ma rimanendo nella vostra bottega?”. Ne parleremo un'altra volta.
     

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