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  • fabio.manfreda
    Ma è giusto giocare gli Europei?

    Ma è giusto giocare gli Europei?

    L’ennesima carneficina. Morti, feriti, gente che fugge, sirene della polizia e dei vigili del fuoco, l’acre odore della morte che si confonde con quella del sangue a rendere apocalittico il palcoscenico della tragedia. Questo è l’aeroporto di Bruxelles da circa due ore, mentre scriviamo. Le bombe jiadiste hanno colpito ancora il cuore dell’Europa.  La capitale del Belgio, un Paese tradizionalmente pacifico e comunque non guerrafondaio, che è anche la capitale dell’Unione tra Paesi i quali stanno cercando faticosamente ma legittimamente trovare quell’unità di intenti e di proposizioni ormai irrinunciabili per la vita sociale, politica ed economica di un Continente avviato, altrimenti, verso una vecchiaia tribolata e malata. Il terrorismo dei fondamentalisti islamici ha scelto questa “zona fragile” per impiantare uno dei più disastrosamente attivi nuclei armati delle loro cellule. Francamente non so fino a che punto l’intelligence belga e le forze speciali di quel Paese siano cresciute per mentalità e organizzazione. Ricordo invece molto bene i “fatti” dell’Heysel che con il terrorismo non c’entrano nulla ma che offrirono al mondo l’immagine di un Paese assolutamente impreparato ad affrontare, sul piano della sicurezza, una qualsiasi situazione di emergenza. 

    E’ovvio che alle autorità belga nulla può essere imputato per ciò che si sta replicando in queste ore dopo il “primo atto” vissuto (in contemporanea con Parigi) pochissimo tempo fa. Ma se ”gli animali” ipocritamente fedeli ad un Dio che, come tale, non  può  ammettere la violenza sono riusciti a piantare le loro cattive radici in questa terra “di fiori e di cioccolato” vuole dire che qualcosa non funziona nell’apparato di difesa. Fatto ancora più grave se si considera che, proprio nello scalo della capitale, ogni giorno transitano i personaggi politici e non deputati alla gestione della macchina europea.

    Ancora scossi dalla tragedia del pullman che in Spagna, tra Valencia e Barcellona, ci ha portato via sette angeli bellissimi dell’Erasmus, ora stiamo a scrivere con il cuore in gola aspettando notizie da Bruxelles (foto repubblica.it) per conoscere l’autentica entità dell’ecatombe non dovuta ad “un colpo di umano sonno” (delirante la confessione dell’autista spagnolo) ma provocato da un altro tipo di “trance” psicofisica laddove diventa davvero difficile pensare che, dopo ciò che era già accaduto, non fossero state prese misure radicali per evitare ciò che è di nuovo successo.

    I fatti di Bruxelles capitano in un momento in cui l’attenzione collettiva non è catturata dall’effimero come può essere il gioco del pallone. E però, a campionati fermi, dovrebbero o avrebbero dovuto le nazionali europee a tenere banco nelle discussioni normali e rilassanti delle quali abbiamo bisogno per non impazzire. Ma proprio questa ennesima tragedia impone di riconsiderare seriamente l’opportunità di rispettare oppure no  il calendario calcistico europeo e di mandare in scena secondo programma gli Europei di Francia. E questo non perchè, come afferma Antonio Conte, la considerazione popolare per la nazionale è bassa a livello di Palazzo, ma perché il rischio che un happening sulla carta di festa e di felicità possa trasformarsi un racconto di cronaca nera planetaria è sempre più evidente. Non si tratta di fare allarmismo, ma di essere realisti. Gli antichi fermavano le guerre per consentire lo svolgimento dei Giochi. In epoca moderna furono le guerre a bloccare ogni attività sportiva. Ora, non vi sono dubbi, siamo in guerra.
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    Marco Bernardini ​

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