Il Torino vuole tornare 'Grande'
Oggi il Torino si sta costruendo con qualità e idee, e si sta muovendo verso un ordine preciso quello della competitività. La voglia, l’ambizione è di tornare si in Europa ma anche quella di essere di nuovo, e negli anni, la squadra suggestiva e lottatrice che è stata con ininterrotta sequenza storica, fino al 1992. Dopo quella stagione che anche per molti aspetti della vita sociale e civile è stata stagione di confine e spartiacque di ere storiche, il Torino è caduto in una fase di anni bui e duri come la storiografia granata con i suoi libri, i suoi siti dedicati, i suoi archivi e le sue partite, ha provveduto ampiamente a raccontare e testimoniare.
La base di questo Torino dal nuovo cuore granata che pulsa forte e motivato, è una base solida e centrata sui quattro anni di Giampiero Ventura, oggi C.t. della nazionale, ma fino a ieri attento demiurgo del ritrovato Toro. Lui genovese è stato il mercante di una serie di emozioni ritrovate che la mitologia granata ha potuto rivivere forti tra i rigori sbagliati a Firenze che non impedirono comunque di accedere all’Europa League, (in un segno del destino che ha a che fare con la magia che aleggia il Torino) e la conquista di Bilbao, feudo violato nella sua sacralità, in piena catarsi da cuore Toro. Su questa base si costruisce oggi il Torino di Sinisa Mihajlovic, anche lui in cerca di riscatto dopo le ingrate ripicche milanesi.
E’ l’allenatore giusto che sta lavorando al Torino nel mese giusto, quello del risveglio. Sì perché nella storia del Torino, questo mese che oggi volge al termine, ha una simbologia di rinascita forte e continua nel tempo: l’iniziale laccio con la storia è quello che lega il Toro di oggi al Grande Torino di ieri, capace di vincere il 28 luglio 1946 il primo scudetto del dopoguerra italiano.
Allora anche il Grande Torino come l’Italia tutta aveva nella speranza dei tristi e nel furore dei combattenti, la voglia di rinascere e di farlo, chiaro e deciso, in un giorno d’estate. Un simbolismo che proprio oggi a 70anni di distanza si ripete, non in chiave scudetto certo, ma nel segno della sensazione di essere il Torino, una delle squadre storiche e magiche del football italiano.
Nel luglio che volge al termine, ci sono oggi i Ljajic, gli Iago Falqué più tutta la nidiata di giovani talenti italiani che irrorano con la loro energia, ancora un po’ frenata, ma potentemente presente, l’anima coraggiosa del Torino. Certo non sono Loik e Mazzola, o Bacigalupo, Ballarin e Maroso e Belotti, il gallo, non può essere Gabetto. Ma lo spirito del Toro ci sembra si stia muovendo forte e animoso in queste mese caldo e troppo asciutto anche in termini d’emozioni.
La qualità dei giovani italiani, Zappacosta, Baselli, Benassi, Belotti non sarà quella dei Pecci, dei Graziani, dei Pulici che quarant’anni fa vinsero l’ultimo titolo dell’epopea granata; ma questa qualità, seppur infinitamente inferiore, c’è e si vede all’alba del campionato proprio ora a luglio, mese visionario nella storia del club.
Il 12 luglio del 2006 a tre giorni dall’Italia di Lippi campione del mondo nel cielo sotto Berlino, Urbano Cairo il presidente di oggi riacquistava fortemente, dopo gli anni che la stessa letteratura sul Torino definiva bui e tempestosi, gli anni tra il 1993 e il 2005 quelli della serie b e del fallimento, i marchi, le coppe e i cimeli di ieri, simboli del grande viaggio del Torino nel calcio. Un modo simbolico e pratico per riunificare, nel segno della rinascita e non potrebbe essere altrimenti, la storia e meriti sportivi sia del Grande Torino sia del Torino football club tutto.
A dieci anni dalla ricostituita identità e con un percorso che non ha mancato di conoscere critiche anche giuste ed incentrate sull’immobilismo, il Torino forte di un quadriennio in cui ha ricostruito se stesso e riabbracciato compiutamente la sua storia, si prepara ad entrare nella terza tappa di questo decennio: la tappa della competitività.
Quel gesto simbolico nell’estate torrida e velenosa del calcio italiano, va letto oggi, storicamente e cronachisticamente, come una tappa di unione tra la storia antica e gloriosa della squadra e il passaggio laborioso e sperimentale verso l’idea di oggi, quella di un Torino di nuovo saldo e continuo sul tema della competitività.
Il presidente e l’allenatore serbo ricercano un centrocampista che sia un regista e in questa chiave il nome è Valdifiori. Lo stesso Cairo ha parlato di un metodista, termine solo apparentemente arcaico e in disuso nel calcio moderno, ma a ben guardare invece, figlio di un linguaggio calcistico che viene da lontano e che nessuno, nemmeno i grandi squadroni moderni hanno dimenticato. Questo per dire che oggi a luglio 2016 anche i concetti di costruzione tecnica del Torino di questi anni e giorni sono legati alle radici, alla mentalità di ieri.
Sta nascendo un bel Torino, ancora incompleto per via dei gangli del mercato certo, ma già proiettato sulla competitività grazie ai quattro anni precedenti, ma anche a un’identità che si ritrova sempre in questo mese dove il Toro rinasce come l’Araba Fenice. A settant’anni dallo scudetto che ne aprì il mito, a dieci dalla riscoperta con se stessi e a quattro giorni dalla vittoria, in amichevole, col Benfica ultimo aggancio mistico col Grande Torino e la storia del club, il Torino si rilancia in un nuovo viaggio e come fosse, una nave antica e gloriosa riprende anzi prosegue il suo viaggio che lo lega a un tempo, anzi a un mese. Luglio.