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  • Lodetti, lo 'scudiero' di Rivera che conquistò Milano e Genova. Quella volta al Parco di Trenno...

    Lodetti, lo 'scudiero' di Rivera che conquistò Milano e Genova. Quella volta al Parco di Trenno...

    • Renzo Parodi
    In quell’estate del 1970, la piccola simpatica e povera Sampdoria del presidente Mario Colantuoni, detto l’avvocato di campagna, allenata dal monumento vivente al calcio, Fulvio Bernardini, dovette sacrificare non uno ma due vitelli grassi sull’altare del bilancio.

    Partirono alla volta di Milano il rude mediano Romeo Benetti, destinazione Milan e il raffinato regista Mario Frustalupi, acquistato dall’Inter. In cambio scesero a Genova due antichi campioni che avrebbero onorato anche sotto la Lanterna la propria fama: Giovanni Lodetti (accompagnato da 350 milioni, una bella cifra all’epoca) e Luisito Suarez. Il mediano che aveva vinto tutto col Milan (uno scudetto, due coppe dei campioni, una coppa intercontinentale, una coppa delle coppe, una coppa Italia), lo scudiero-maratoneta che aveva supportato con la sua fatica podistica le esili ancorché geniali gambe di Gianni Rivera, detto (da Brera) l’Abatino, non aveva ancora compiuto 28 anni. Giovane dunque, al cospetto del vegliardo Suarez che di anni ne contava già 35. Entrambi entrarono nel cuore dei tifosi blucerchiati tradizionalmente esigenti e amanti del bel gioco. 

    Nell’estate del Mondiale messicano (e del secondo posto dell’Italia) Lodetti era stato scaricato dal Milan e anche dalla Nazionale guidata da Ferruccio Valcareggi. Giuan Lodetti detto Basletta (alla milanese, per via del mento pronunciato) era stato rispedito a casa dopo essere salito sull'aereo per una bizzarra combinazione. Alla vigilia della partenza il centravanti della Juve, Pietro Anastasi, era stato operato d’urgenza per un trauma rimediato in allenamento. Il ct Valcareggi scelse di arruolare due centravanti, Prati e Boninsegna, e Lodetti dovette rinunciare all’avventura azzurra. Tornato a casa in maniera dignitosa, Lodetti rifiutò il premio messo a disposizione dalla Federazione, una vacanza ad Acapulco.  

    A Genova dopo la prima annata conclusa al dodicesimo posto (su sedici squadre) e con l’en plein delle presenze (30), Lodetti interpretò con generosità la parte del mediano di fatica, accanto ancora una volta ad un genio del pallone come Suarez. La panchina della Sampdoria nell’estate del 1971 era passata da Bernardini, il Profeta che amava i piedi boni, al ginnasiarca paraguagio Heriberto Herrera  che nel suo curriculum vantava lo scudetto vinto nel ’67 con la Juve.

    Dal giorno alla notte. Il più pronto ad adeguarsi alle massacranti sedute di allenamento imposte da HH2 fu naturalmente proprio Lodetti, che impastava da sempre di fatica il suo calcio settepolmoni. La Sampdoria migliorò nettamente il risultato finale (nono posto) seppure giocando un calcio più sparagnino e avaro di gol. il capocannoniere della squadra infatti fu il centravanti Cristin con appena cinque reti, tuttavia Lodetti centrò per la seconda volta il pieno di presenze, senza andare mai a segno.

    La sua avventura in blucerchiato si concluse nel 1974, con 132 presenze (129 consecutive!), spesso indossando la fascia di capitano della squadra. Il nuovo allenatore, Giulio Corsini non ritenne di confermarlo neppure dopo che la Sampdoria, retrocessa sul campo in serie B la stagione precedente, era stata ripescata in A ai danni di Verona e Foggia, coinvolte in uno scandalo di partite comparare. Giuan Lodetti scese a Foggia per poi risalire al Nord, a Novara e chiudere in Piemonte la sua gloriosa carriera.

    Discreto, educato, mai sopra le righe, Lodetti tornò a vivere nella sua Milano. Un giorno facendo jogging nel parco di Trenno notò un gruppo di ragazzini intenti a giocare a pallone. Mancava un giocatore e Lodetti si avvicinò al portiere e gli disse: “Posso entrare io..” Quello si voltò e senza tanti riguardi gli fece: "Ma dai, qui siamo tutti giovani!" Lodetti insisteva: “Dai… gioco anche in porta”. Alla fine uno gli fece segno di entrare. Dopo un po’ gli si avvicinò: "Sai che sei buono? Ma sul serio eh!”. 

    Erano troppo giovani per ricordarsi di lui, tanto più che Lodetti aveva raccontato di aver fatto dei tornei aziendali e di chiamarsi Ceramica, come la scritta che portava sulla tuta. Allora quei ragazzi gli chiesero se volevo giocare con loro ogni sabato mattina al parco Trenno e naturalmente lui accettò con entusiasmo. Durante le partite gli urlavano: "Passa Ceramica! Tira Ceramica! Bravo Ceramica!". Passarono ben due anni prima che uno dei ragazzi scoprisse chi era quell’attempato compagno di squadra che col pallone faceva quello che voleva. “Ragazzi, abbiamo giocato per due anni con Giovanni Lodetti senza saperlo!”.

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