Liverpool, bloccato l'aumento dei prezzi dei biglietti. E in Italia che aspettiamo?
Una lezione di democrazia, altro non può essere definita la clamorosa protesta capeggiata dai tifosi del Liverpool contro la politica dell'aumento del prezzo dei biglietti allo stadio varato recentemente da diverse società di Premier League. Soprattutto un clamoroso successo sullo strapotere dei soldi che ormai condiziona qualsiasi scelta in qualsiasi campo e a qualsiasi latitudine: ieri, preso atto della durissima presa di posizione dei supporter dei Reds contro le 77 sterline (circa 100 euro) del costo di accesso ad Anfield e dell'atto d'accusa nei propri confronti, la Fenway Sports Group, il gruppo che detiene le quote di maggioranza del club, ha fatto marcia indietro e si è scusato con la sua gente. "John W Henry, Tom Werner e FSG sono rimasti particolarmi toccati dalla percezione diffusa nei nostri tifosi che non ci preoccupiamo di loro, che siamo avidi e che stiamo cercando di trarre un profitto personale a spese della salute del club. Piuttosto, è il contrario. Abbiamo ricevuto il messaggio e per le prossime due stagioni non alzeremo il costo dei bliglietti di una sola sterlina", recita parte della lettera aperta ai tifosi.
Il biglietto più caro per entrare nel mitico Anfield resterà dunque quello da 59 sterline e, cosa più importante, la retromarcia dei vertici dirigenziali del Liverpool si accoda alle scelta di Crystal Palace, Arsenal, Manchester United, Norwich e Swansea di bloccare le tariffe, mentre il West Ham, in vista del trasferimento per l'anno prossimo da Upton Park allo Stadio Olimpico di Londra, addirittura concederà uno sconto. Politiche frutto di una protesta che da parte delle organizzazioni dei tifosi inglesi è stata comune e globale, tanto da essersi diffusa anche in Germania (come dimostra la protesta dell'altro ieri dei sostenitori del Borussia Dortmund con le palline da tennis), e che è riuscita proprio perchè si è fatta squadra. E in Italia che succede? Da noi, il costo medio dei biglietti è più alto che in Bundesliga (il campionato più economico), 48,4 euro rispetto ai 36,6 dei colleghi di tifo tedeschi; peccato che i nostri stadi siano vecchi, fatiscenti e spesso mezzi vuoti. Da una parte, dunque, ci sono le società che hanno ormai deciso di votarsi pienamente alla filosofia del calcio in tv e quindi del privilegiare la platea da salotto piuttosto che puntare su politiche per riportare gente, soprattutto sana e non violenta, negli impianti sportivi. Dall'altra, paghiamo la totale assenza di gruppi di tifosi organizzati capaci di fare sistema e di ergersi a vero interlocutore della Federcalcio o delle leghe per muoversi in maniera forte e chiara verso un deciso cambio della situazione: l'ammodernamento dei nostri stadi, sull'esempio tracciato da Juve, Sassuolo e Udinese, e strategie di marketing sui biglietti e sul coinvolgimento dei giovani e delle famiglie che tornino effettivamente a privilegiare le tasche degli appassionati e non quello di uno sparuto gruppo di dirigenti che tengono in mano le sorti del nostro calcio in declino.
Il biglietto più caro per entrare nel mitico Anfield resterà dunque quello da 59 sterline e, cosa più importante, la retromarcia dei vertici dirigenziali del Liverpool si accoda alle scelta di Crystal Palace, Arsenal, Manchester United, Norwich e Swansea di bloccare le tariffe, mentre il West Ham, in vista del trasferimento per l'anno prossimo da Upton Park allo Stadio Olimpico di Londra, addirittura concederà uno sconto. Politiche frutto di una protesta che da parte delle organizzazioni dei tifosi inglesi è stata comune e globale, tanto da essersi diffusa anche in Germania (come dimostra la protesta dell'altro ieri dei sostenitori del Borussia Dortmund con le palline da tennis), e che è riuscita proprio perchè si è fatta squadra. E in Italia che succede? Da noi, il costo medio dei biglietti è più alto che in Bundesliga (il campionato più economico), 48,4 euro rispetto ai 36,6 dei colleghi di tifo tedeschi; peccato che i nostri stadi siano vecchi, fatiscenti e spesso mezzi vuoti. Da una parte, dunque, ci sono le società che hanno ormai deciso di votarsi pienamente alla filosofia del calcio in tv e quindi del privilegiare la platea da salotto piuttosto che puntare su politiche per riportare gente, soprattutto sana e non violenta, negli impianti sportivi. Dall'altra, paghiamo la totale assenza di gruppi di tifosi organizzati capaci di fare sistema e di ergersi a vero interlocutore della Federcalcio o delle leghe per muoversi in maniera forte e chiara verso un deciso cambio della situazione: l'ammodernamento dei nostri stadi, sull'esempio tracciato da Juve, Sassuolo e Udinese, e strategie di marketing sui biglietti e sul coinvolgimento dei giovani e delle famiglie che tornino effettivamente a privilegiare le tasche degli appassionati e non quello di uno sparuto gruppo di dirigenti che tengono in mano le sorti del nostro calcio in declino.