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Lippi a Bernardini: 'Juve? Non gufo, ma sto cercando il mio mare d'arselle'
Parliamo di droga e di drogati. Ne esistono di buonissime. Costano niente e non provocano effetti collaterali. Dovrebbero usarle i bambini. Hanno nomi semplici e si trovano in natura: Amore, Passione, Curiosità, Partecipazione, Semplicità. La posologia è di due volte al giorno. Al mattino, quando ci si alza, per affrontare la vita. La sera, appena dopo aver spento la luce sul comodino, per stilare il bilancio della giornata. Se ci si addormenta felici significa che hanno funzionato. E si possono anche fare sogni colorati. Un sola avvertenza. E’ impossibile smettere.
Un grande editore e anche scrittore, Leo Longanesi, inventò un felice aforisma. "Meglio fare il giornalista piuttosto che lavorare". Un paradosso, naturalmente, perché vi assicuro che esercitare questa professione in modo serio e deontologicamente corretto comporta una fatica, fisica e intellettuale, talvolta disumana. La frase, in realtà, voleva significare che un lavoro qualunque se fatto non solo a scopo produttivo ed economico diventa parte insostituibile di noi stessi e, oltre al denaro, produce felicità. Non sono tantissime le professioni che possiedono questa forza seduttiva. Nell’arte, nel cinema, nella letteratura, nella medicina popolare, nel giornalismo appunto e sicuramente nel calcio. Sicché, dopo aver detto delle droghe, arrivo ai drogati. Osservavo con attenzione, ieri, Marcello Lippi mentre esternava in tivvù. Siamo nati lo stesso anno e apparteniamo (io solo per metà) al medesimo mare della Versilia. Abbiamo vissuto, per tanti anni, a Torino. Io sono juventino battesimale, lui lo è diventato da grande. Lui è una di quelle rare persone delle quali ci si può fidare, a prescindere. Io credo di possedere quell’ onestà intellettuale che ti spinge a chiedere scusa senza vergogna quando ti accorgi di aver sbagliato. Ebbene, il giorno in cui Marcello partì per la Cina confusi maldestramente la sua curiosità professionale con una certa avidità. Tra le righe di un articolo per il “Corriere Fiorentino” lo scrissi. Una gaffe balorda. Lui, viareggino un po’ permaloso, mi tolse il saluto per qualche tempo. Accettai la punizione. Quella volta non avevo capito.
L’amicizia abbatte ogni sciocca querelle. Basta intendersi e finisce con quattro risate. E magari una cena in salsa versiliese. Come base le arselle tanto care a Lippi: “Già, le arselle. In questo momento io mi sento peggio di un pescatore di quelle conchigliette. Perché loro lavorano tutto l’anno. Anche in inverno li puoi vedere con gli stivaloni e l’acqua a mezzo busto. Li osservo dalla terrazza sul mare. Provo tenerezza e anche un poco di invidia”. L’abbronzatura di Ibiza sembra stingersi mentre continua e sostiene: “Vivo il pallone ventiquattro ore al giorno guardandolo in televisione. Tanto vale tornare in panchina da dove le partite si vedono meglio”.
Innocente bugia finale (sono stato una volta in panchina con il Trap e la Juve in Australia e, da seduti, si vede poco o nulla) che nasconde una grande verità. Marcello Lippi è anche lui uno stupendo “drogato” dal mix di Passione, Amore, Curiosità, Partecipazione e Semplicità. Come tale, oggi si in grave e totale crisi di astinenza. Ma non soltanto del pallone in senso ampio o del retorico profumo dell’erba o del leggendario odore dello spogliatoio. Questa volta non credo di sbagliare o di farlo incazzare dicendo che la sua droga principale si chiama Juventus.
E proprio di cose bianconere ama dire: “Io non so cosa accadrà. Ma conoscendo la Juve so cosa non può accadere. Perché la società bianconera mandi via un allenatore dovrebbe succedere un disastro: in campionato e in Champions. Oddio, mai dire mai eppure mi pare difficile e significherebbe dover ricominciare da zero. Io non gufo, certamente, su chi voglio bene. Aspetto e mi guardo intorno. Insomma cerco il mio mare di arselle”.
Da parte mia provo ad immaginare, con grande soddisfazione, un “Lippi ter” per la Juventus con il ritorno dell’uomo degli scudetti e delle Coppe (dopo il Trap) nella sua casa professionale naturale e nella sua deliziosa abitazione affacciata sulla preziosa Piazza Carignano a Torino dove nel ristirante “Al Cambio” Cavour disegnava l’unità d’Italia. Non da semplice allenatore ma, come un vorrebbe e meriterebbe, con un ruolo più allargato: alla Wenger tanto per fare un paragone.
Forse il frutto, in questo momento specifico, non è ancora del tutto maturo. Ma nel giro di poche settimane potrebbe diventarlo anche perché i presupposti ci sono tutti a livello di risultati tecnici e sul piano ambientale. Unico ostacolo i quattro milioni che la Juve dovrebbe dare ad Allegri anche il prossimo anno.
n questi giorni mi è capitato di sentire circolare il nome di Fabio Capello. Voglio dirla alla Conte: agghiacciante! Non per il valore professionale di Fabio ma perché lui, fondamentalmente, non fa parte della categoria dei drogati, senza contare che è l’allenatore degli “anni horribils” che per via di una troika impazzita e manovre delle quali lo stesso Capello non poteva essere all’oscuro, portarono la Juventus in Serie B. Che è tanta roba.
Marco Bernardini