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    Lione in cerca della grandezza perduta

    Lione in cerca della grandezza perduta

    • Pippo Russo
    Due fratelli beur a duellare sul campo e il terzo che aleggia sullo sfondo. È una strana vigilia quella che precede la gara tra Olympique Lione e Nizza. Un venerdì che alle otto e mezza della sera mette in palio il secondo posto della Ligue 1, cioè il primo posto nel campionato degli umani. Il Paris Saint Germain ha già salutato da tempo la compagnia vincendo il torneo con un anticipo indecente. E il giorno dopo la gara fra OL e Nizza sfogherà contro il malcapitato Caen (6-0) la rabbia per l’ennesima, fresca delusione in Champions League giunta con l’eliminazione ai quarti per mano del Manchester City.

    Ma quella è davvero un’altra storia, e infatti le cronache locali dell’area di Rhone-Alpes (trasformata in Auvergne-Rhone-Alpes con la riorganizzazione amministrativa entrata in vigore lo scorso 1° gennaio) poco se ne occupano. Meglio far finta che il centro del calcio francese si trovi quella sera nel nuovissimo Parc Olympique, fortemente voluto dal presidente Jean-Michel Aulas con l’obiettivo di far decollare gli introiti del club.

    E fra i motivi della vigilia c’è il duello fra i due talenti d’origine magrebina passati dal centro di formazione che il quotidiano Le Dauphiné Libéré definisce “la Masia lionese”, Tola-Vologe: Nabil Fekir dalla parte lionese e Hatem Ben Arfa dalla parte nizzarda. La curiosità per lo scontro fra i due è quasi pari all’attesa per il match che mette in palio il secondo posto. Fekir e Ben Arfa si giocano un posto nella lista dei convocati per l’Europeo che la Francia s’appresta a ospitare. Difficile ipotizzare che Didier Deschamps chiami entrambi. E gli intrecci legati alla nazionale chiamano in ballo il terzo, grande talento d’origine magrebina formato a Lione e caduto in disgrazia per colpe tutte sue: Karim Benzema. Che proprio due giorni prima di Lione-Nizza ha saputo d’essere escluso dalla nazionale, causa la squallida vicenda del ricatto di cui è stato vittima Valbuena.

    Tutto torna e tutto s’intreccia, nella città che prima di altre in Francia ha visto esplodere le tensioni lungo linee di frattura ben precise: francesi autoctoni contro figli dell’immigrazione magrebina, centri urbani contro banlieus. Già nel 1995 i giovani delle periferie a forte presenza magrebina si radicalizzavano, prendendo parte nelle campagne in favore dell’Afghanistan e dei musulmani di Bosnia. E dieci anni dopo, nel 2005, il nuovo impennarsi delle tensioni confutò una volta per tutte la favola politically correct che proprio il calcio aveva contribuito a alimentare: quella del Paese capace di integrare le differenze etno-culturali in un melting pot, la Francia black-blanc-beur di cui la nazionale guidata nel 1998 da Aimet Jacquet alla vittoria del mondiale casalingo divenne un simbolo.

    Adesso che la Francia si approssima a ospitare la fase finale di un altro torneo per rappresentative nazionali, quella narrazione è stata definitivamente mandata in archivio. Gli attentati contro Charlie Hebdo e dello scorso 13 novembre hanno innaffiato col sangue una situazione di tensione già attestata su livelli d’allarme. E ancora una volta da queste parti, col calcio in ballo, se n’è avuto un esempio. È successo a giugno 2014, allorché i festeggiamenti per la qualificazione della nazionale algerina agli ottavi di finale del mondiale brasiliano si sono trasformati in guerriglia urbana.

    Il conflitto etno-culturale (non uso il termine “razziale”, trattasi di un termine che non ha cittadinanza nel mio vocabolario) rimane per le città francesi una condizione latente. E Lione è una delle avanguardie di questo stato di latenza. A descrivere molto bene lo stato delle cose ha provveduto un libro pubblicato a marzo scorso dall’editore Calman Levy. S’intitola “Terreur de jeunesse e il suo autore, David Vallat, è un ex militante del radicalismo islamico che prese parte alla rete del leader jihadista Khaled Kelkal, quella che nel 1995 condusse la prima ondata di attentati in Francia. Francese di Villefontaine, cittadina a una quarantina di chilometri da Lione che a partire dagli anni Settanta ha vissuto un’urbanizzazione impetuosa, Vallat ha fatto una rapida trafila. Dopo aver trascorso nove mesi in un campo di addestramento afghano e essere passato in Bosnia, Vallat è stato arrestato nel 1995 per la sua partecipazione alla rete del radicalismo islamico. Aveva 23 anni, e il tempo trascorso in carcere (6 anni di condanna) gli è servito a aprire gli occhi e prendere le distanze dall’uso ideologico della religione. Adesso, a 44 anni, Vallat può essere definito un pentito del jihadismo. Si è reinserito in società, trovando lavoro in un’azienda della zona industriale di Feyzin, periferia lionese. E avrebbe mantenuto il silenzio sul proprio passato, se non fosse stato per la recrudescenza di terrorismo che ha colpito il Paese nel 2015. Per questo, da ex ragazzo che fu sensibile al messaggio proselitista del radicalismo islamico, ha scritto un libro per rivolgersi ai ragazzi banlieusard di oggi e invitarli a non cedere all’inganno.

    Parlando di tutto ciò si capisce come mai il duello calcistico fra i due ragazzi beur prenda a Lione dei significati che vanno ben oltre il calcio. Ma il pallone rimane al centro, e quella sera deve essere il giudice della prova di due ragazzi che nei mesi scorsi hanno vissuto ciascuno il proprio dramma d’esclusione. Ben Arfa, a gennaio 2015, è stato intrappolato dai regolamenti Fifa che impediscono a un calciatore di militare in tre club durante una stagione calcistica. Iniziata l’annata a Newcastle con successivo prestito a Hull, il ragazzo era passato a Nizza. Ma ha dovuto aspettare la conclusione della stagione 2014-15 per diventare a tutti gli effetti un calciatore della squadra rossonera. Dal canto suo, Fekir ha subìto un grave infortunio lo scorso settembre in occasione della gara amichevole tra Francia e Portogallo: rottura del legamento crociato del ginocchio destro. Sulle prime si era parlato di stagione finita, ma poi il recupero è stato meno lungo di quanto sembrasse e nel giro di sei mesi il ragazzo è tornato in campo. Adesso ce la sta mettendo tutta per dare una mano al Lione nella volata Champions e per convincere Deschamps.

    Sul campo, il duello con Ben Arfa è ancora impari. Hatem, rilanciato con sapienza da un allenatore a sua volta ex lionese (Claude Puel) è il giocatore che dà il tocco di classe a una squadra altrimenti ben organizzata ma priva di lampi. Nabil entra nel finale e partecipa all’assedio che frutta il pari a un Lione ridotto in 10. La sua voglia di fare è palese, e va oltre la volontà di riprendersi il posto. C’è soprattutto che Fekir è un talento locale al cento per cento. Durante una bella intervista concessa a France Football a inizio stagione, della quale potete trovare qui una versione parziale, egli parlò del suo orgoglio per il fatto di rappresentare la squadra della sua città, e aggiunse che in questo senso i ragazzi che provengono dalle banlieu hanno e danno qualcosa di più. Parole dense di senso d’appartenenza, e che rilette in questi giorni assumono un significato particolare.

    Perché sono i giorni in cui un altro ragazzo delle banlieu lionesi, Karim Benzema, si vede chiudere le porte della nazionale. Un gesto inflessibile da parte di Didier Deschamps, pronto a rinunciare al suo attaccante più forte pur di affermare una questione di principio: certi comportamenti non possono essere tollerati. Il pasticciaccio brutto legato alla vicenda Benzema-Valbuena ha fatto emergere in modo definitivo quanto l’attaccante del Real Madrid sia ancora legato a personaggi poco raccomandabili della sua adolescenza trascorsa nelle periferie. Pessime amicizie che continuano a influenzare negativamente alcune sue scelte. Lo stesso numero del Dauphiné Libéré riportava i risultati di un sondaggio lanciato il giorno prima presso i lettori. Domanda: è giusto escludere Benzema dalle convocazioni? Risposta: sì 88%, no 12%. L’opinione pubblica sta dalla parte del CT. E ciò dà possibilità all’editorialista del giornale, Gilles Debernardi, di prendersela con le frange “comunitariste”, già pronte a lanciare la campagna vittimista contro quello che verrà propagandato come l’ennesimo atto di discriminazione verso la comunità islamica francese. Un circolo vizioso che s’avvita all’infinito. Il calcio non sarà mai soltanto calcio, da queste parti.

    P.S. Oltre a Fekir, un altro subentrato nella gara contro il Nizza è stato Valbuena. Da una sua punizione che ha centrato la traversa è scaturito il gol del pari lionese. E anche questo è fatto altamente simbolico.
     
    1. Continua...

    Twitter: @pippoevai
     

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