Redazione Calciomercato
L'Inter 'deve' davvero vincere la Champions?
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Ci sono, effettivamente, dei punti favorevoli all’onda che spinge l’Inter a Wembley. A partire dall’assenza dello straordinario Liverpool di Klopp e dell’habitué Chelsea, fino alle difficoltà di Barcellona e Bayern Monaco, lontani dalla migliore stabilità societaria e/o tecnica. Aspettando il verdetto di Barça-Napoli, contro la Lazio i bavaresi hanno però mostrato che nelle notti europee possono sprigionare tutta la loro forza anche in un’annata contraddittoria. Lo stesso vale per il rinato Arsenal, atteso al varco dall’irriducibile Porto di Conceiçao, e soprattutto per il Paris Saint-Germain, che per alcuni mesi ancora resterà il “Paris Saint-Kylian”, a immagine e somiglianza di Sua Maestà Kylian Mbappé. La Real Sociedad, seppur distante dalla migliore versione espressa nella prima fase contro l’Inter, è stata travolta da Mbappé e dalla sempre più convincente organizzazione tattica di Luis Enrique. Che per la fase decisiva recupererà il leader difensivo Marquinhos. Insomma, non di soli City e Real Madrid risplende il firmamento continentale.
C’è poi un aspetto un po’ sottovalutato sulla “Road to Wembley”: affrontare una big per 180’ (210’ coi supplementari) è ancora più complesso dei 90/120’ di una finale. Significa che l’eventuale approdo ai quarti comporterebbe il rischio di andare all’Etihad, che il City fa sembrare grande come il Camp Nou e dove non perde da 30 partite di Champions, o al Bernabeu, la tana dei Re della Coppa: il Real e Carlo Ancelotti. Nel triennio di Inzaghi l’Inter ha sfidato finora solo un top club straniero con andata e ritorno: il Liverpool, poi finalista 2021/22, passò il turno col brivido, tra i rimpianti di Simone per una delle rare sostituzioni mancate di un ammonito, Sanchez, poi puntualmente espulso. La cavalcata verso la finale dell’anno scorso, per quanto entusiasmante, ha avuto i picchi di difficoltà nel doppio confronto del girone contro il Barcellona e nel derby di semifinale, superato magnificamente ma più probante sul piano emotivo che tecnico.
Certo, l’Inter ha reso ancor più invitante il contesto attuale, guadagnandosi la possibilità di gestire le energie della rosa non più in funzione della seconda stella, obiettivo principale dichiarato, bensì della corsa continentale. L’opposto dell’anno scorso e senza la pressione di aggiornare il pallottoliere delle sconfitte, che avevano appesantito gli ultimi mesi di campionato. E se “molte aspettative, molto onore” può/deve rendere orgogliosi club, allenatore e calciatori, bisogna comunque proiettare con prudenza le visioni del nostro campionato sulla Champions, dove si gioca un altro sport. L’unico obbligo che l’Inter ha davvero è di giocare un ottavo di ritorno migliore di quello dell’anno scorso contro il Porto. Al Metropolitano il clima sarà torrido come un anno fa al Do Dragao, il risultato di partenza sarà lo stesso, il valore del rivale superiore. Serviranno audacia, personalità e qualità del gioco. E il giudizio finale sulla corsa europea dell’Inter dovrà essere dato non solo sui risultati ma anche sul “come” saranno stati (o meno) ottenuti. Proprio come l’anno scorso, quando un’analisi intellettualmente onesta della finale di Istanbul divenne la pietra filosofale di una squadra che il lavoro dei dirigenti e di Simone Inzaghi ha reso bella e solo apparentemente impossibile.