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Lingard, le promesse si mantengono prima o poi. E quel feeling con Ibra...
E’ un po’ tardi per definirlo una promessa: a 24 anni, compiuti per altro da pochi giorni, Jesse Lingard dovrebbe essere sbocciato da un pezzo. Già da diversi anni aveva espresso tutti i numeri per diventare un protagonista assoluto ed è stato anche per questo che, su suggerimento di sir Alex Ferguson, il primo a credere nel ragazzo quando aveva solo sedici anni, che lo United lo ha sempre tenuto ben stretto. Tanti prestiti (dal Leicester al Derby County passando per Birmingham e Brighton, quattro stagioni in tutto), mai un pensiero sulla cessione nonostante molte richieste: su tutte quella di Wenger e dell’Arsenal.
L’anno per Lingard si era aperto con la rete nel match che aveva consegnato al Manchester il Community Shield ma l’esterno non aveva ancora dimostrato di meritarsi la chiamata allo United di Mourinho. Il tecnico lo ha utilizzato con una certa discontinuità, così come discontinuo era sembrato il giocatore nelle opportunità che aveva avuto fino a questo momento. Ma da qualche settimana le cose sembrano essere cambiate: “Non gioco più con l’ansia di dover dimostrare qualcosa a tutti i costi – dice Lingard – cerco di divertirmi e basta”. Si diverte lui, si diverte il pubblico e si diverte anche Ibrahimovic che sui cross di Lingard va a nozze, salvo poi andare a spaventare il più giovane compagno con le sue dirompenti esultanze. Ibrahimovic, si sa, non è un giocatore prodigo di complimenti per avversari o compagni di squadra ma di Jesse Lingard ha detto: "E' un bravo ragazzo, uno che vuole crescere, ha le orecchie aperte e la bocca chiusa e sa come farsi ben volere dai compagni di squadra. E il suo cross non si discute: per corsa, dribbling e assist lungo è straordinario, forse unico nella Premier League”.
Non si può che sottoscrivere: persino i giornalisti inglesi, che da tempo gli avevano affibbiato la patente di ‘promessa mai mantenuta’ stanno cominciando a cambiare la loro opinione e la splendida partita contro il West Bromich ha fatto il resto. Lingard oggi è nella Top11 della BBC e deve semplicemente continuare a dimostrare che la promessa che era oggi è una realtà: la storia di giovani di talento emersi e scomparsi dal roster dello United è lunga e documentata. Lingard vuole smentirla e a Mourinho e Ibrahimovic, il cui ego è secondo forse solo alle dimensioni dello stadio, sono pronti ad assumersi meriti e paternità del talento finalmente sbocciato.
L’anno per Lingard si era aperto con la rete nel match che aveva consegnato al Manchester il Community Shield ma l’esterno non aveva ancora dimostrato di meritarsi la chiamata allo United di Mourinho. Il tecnico lo ha utilizzato con una certa discontinuità, così come discontinuo era sembrato il giocatore nelle opportunità che aveva avuto fino a questo momento. Ma da qualche settimana le cose sembrano essere cambiate: “Non gioco più con l’ansia di dover dimostrare qualcosa a tutti i costi – dice Lingard – cerco di divertirmi e basta”. Si diverte lui, si diverte il pubblico e si diverte anche Ibrahimovic che sui cross di Lingard va a nozze, salvo poi andare a spaventare il più giovane compagno con le sue dirompenti esultanze. Ibrahimovic, si sa, non è un giocatore prodigo di complimenti per avversari o compagni di squadra ma di Jesse Lingard ha detto: "E' un bravo ragazzo, uno che vuole crescere, ha le orecchie aperte e la bocca chiusa e sa come farsi ben volere dai compagni di squadra. E il suo cross non si discute: per corsa, dribbling e assist lungo è straordinario, forse unico nella Premier League”.
Non si può che sottoscrivere: persino i giornalisti inglesi, che da tempo gli avevano affibbiato la patente di ‘promessa mai mantenuta’ stanno cominciando a cambiare la loro opinione e la splendida partita contro il West Bromich ha fatto il resto. Lingard oggi è nella Top11 della BBC e deve semplicemente continuare a dimostrare che la promessa che era oggi è una realtà: la storia di giovani di talento emersi e scomparsi dal roster dello United è lunga e documentata. Lingard vuole smentirla e a Mourinho e Ibrahimovic, il cui ego è secondo forse solo alle dimensioni dello stadio, sono pronti ad assumersi meriti e paternità del talento finalmente sbocciato.