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Leo Corsi: Lewandowsky ai tempi del comunismo
“Se Chopin appartiene alla Polonia, la sua patria l'ha offerto al mondo”. La globalizzazione ha conferito all'arte la dimensione internazionale che le spetta, anche se per un grande artista il suo "essere globale" è già dimensione implicita. Pensieri utopistici nei primi anni '80, così come Glasnost e Perestrojka parole prive di senso nei quadri del PCUS, almeno fino all'ascesa di Mikhail Gorbaciov. Da occidente il blocco sovietico appare in quei caldi giorni solido e impenetrabile, sebbene timide avvisaglie lascino intravedere primi segni di cedimento. In Polonia l'elettricista Lech Walesa, successivamente arrestato e poi Nobel per la pace, guida un'organizzazione sindacale in uno storico sciopero. Tutto il mondo guarda a Solidarnosc, anche Karol Wojtyla, arcivescovo di Cracovia eletto al soglio pontificio. In seguito al crack del Banco Ambrosiano, oscuri finanziamenti imbarazzano la Santa Sede: denaro presumibilmente utilizzato per sostenere la lotta polacca. Lo scandalo “Calvi” coinvolge lo IOR e il suo presidente Monsignor Marcinkus. Segreti inconfessabili celati forse per sempre sotto il Blackfriars bridge. In questo clima surreale nell'estate 82 si gioca al Santiago Bernabeu Russia-Polonia, valevole per l'accesso alle semifinali dei mondiali di Spagna ma dal significato storico molto più ampio. I polacchi sono in ritiro da 60 giorni, isolati, distanti dalle proprie famiglie e dagli eventi di Danzica. Mentre eliminano l'Unione Sovietica di Blochin e compagni quelle figure anonime, pallide, tristi, incarnano le fattezze della protesta. Non si è più vista una Polonia così forte: Zmuda, Smolarek, Lato, Zbigniew Boniek; volti vissuti, intensi, segnati, per molti aspetti irraggiungibili. Qualche anno più tardi dalle macerie post-comuniste emerge un altro straordinario talento. Probabilmente più dotato del rosso e baffuto Zibì, malgrado non possa avvicinarne la profonda empatia.
Il processo di globalizzazione ha uniformato civiltà radicalmente diverse tra loro, disperdendo costumi, tradizioni, peculiarità e la stessa identità nazionale, caratteristica preminente di ogni popolo. I giocatori dell'est, senza più baffi né malinconia, assumono oggi la fisionomia di un Lewandowski qualunque, polacco solo sulla carta. Calciatore fenomenale, privo però dello spessore storico che contrassegnava quei nazionali dell'82. Il football dei nostri giorni è offerto in salsa guacamole in ogni angolo del pianeta, vivisezionato dall'occhio vigile di infinite telecamere, violato essenzialmente nella sua sacralità. Cadute le frontiere europee il concetto stesso di nazione vive una fase di profonda crisi. Con esso si dissolve l'alone di mistero che, circondando paesi lontani e inaccessibili, generava leggende dal pathos irresistibile. Lewandowski è il prototipo del calcio globale: universale, non leggendario.
Cresciuto a Varsavia ha conquistato la ribalta a suon di gol, approdando nella ricca Germania che ha da tempo messo in soffitta il fantasma della DDR. Figlio di epoche e contesti radicalmente mutati, gioca con classe e leggerezza senza portare sulle spalle il peso, le oppressioni e le angosce di un popolo intero. Robert e il gol vanno a braccetto. Quando il livello sale spazi angusti e marcature asfissianti rendono arduo il mestiere; per molti, non per Lewandowski.
Morfologicamente esprime straordinarietà, caratteristiche spesso antitetiche convivono nel fisico slanciato e prestante del centravanti polacco. L'abilità nel colpo di testa non sorprende, l’arte balistica del ragazzone include soluzioni aeree di ogni sorta: rovesciate, tacchi acrobatici, tiri al volo. Spicca per tempismo e coordinazione. Pare a volte librarsi in aria e, con le lunghe leve, arpiona palloni per sensazionali reti. Non solo. Possiede il “guizzo", segna sotto misura alla Gerd Muller, alla Pablito, alla Romario, neppur fosse uno di quei piccoletti dal gol facile. Fiuta la porta, la trova come per corrispettivi sensi. Quando si gira a rete il movimento secco non lascia scampo ai difensori. È un gesto naturale, bypassa il pensiero, nasce dentro.
Una squadra tra le più forti al mondo lavora al suo servizio. La grande mole di gioco converge verso il terminale offensivo. Lì, alla foce del fraseggio, la poesia di “Pep” incontra la prosa......è Robert; bellezza in verticale.
Chissà se Lewandowski è il frutto della storia ... dove e chi sarebbe oggi se il mondo fosse rimasto immutato? Globalizzazione e "overdose" mediatica hanno contribuito a saziare una secolare fame di calcio. In questo frenetico processo che lascia poco spazio alla fantasia anche gli uomini, alla stregua di prodotti standardizzati, finiscono per assomigliarsi sempre più tra loro. Un tempo i mondiali erano l'occasione per vedere all'opera giocatori sconosciuti. Di essi si narravano gesta dal sapore leggendario, avvolte da un'aura di mistero e magia. Un carico travolgente di emozioni, forse irrimediabilmente perduto. Me ne dispiaccio.