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Leao si racconta a cuore aperto: 'Dall'infanzia al Milan, vi dico tutto'
Come stai? “Tutto bene. Sono alla fine del mio album, sto finendo. Mancano un paio di videoclip da fare. Sono contento di quello che ho fatto finora”.
Questo sarebbe il tuo secondo album, giusto? “Abbiamo scelto di fare un album perché così posso fare ancora più musica, più canzoni e gli altri avrebbero potuto ascoltare di più”.
Come è nata questa passione per la musica? “Mio papà faceva musica quando era giovane, mio zio era DJ quindi dentro casa avevo sempre la musica vicino a me. Ho cominciato prima a scrivere, poi ho messo il beat sopra durante la quarantena. Non avevo niente da fare, non potevo andare all’allenamento ma mi allenavo a casa mia. E poi ho fatto un mini studio in casa, ho cominciato ad imparare e provare, chi era vicino a me mi ha detto che forse c’era un’occasione da portare avanti. Mi piace fare musica, andare in studio era un po’ lontano, quindi ho comprato delle cuffie, dei microfoni, quella roba lì. Il mio producer mi ha mandato quello che dovevo comprare e ho fatto un piccolo studio a casa mia, così posso fare le canzoni quando voglio”.
Tuo padre che tipo di cantante era? “Semba. Era un genere di allora. Simile al reggaeton, così si diceva. Non proprio così simile, ma almeno così capisci. Quando abitavo da solo la musica era la mia compagnia. Prima di arrivare in Italia ero in Francia e quasi sempre ero solo e la musica era la mia compagnia”.
Come hai capito che il rap ti piaceva? “Per i messaggi. Lo ascoltavo un po’ quando mi allenavo, c’erano messaggi sul non mollare mai e cose simili, mi è rimasto impresso”:
Quali sono gli artisti con cui sei cresciuto? “50 Cent, Lil Wayne, Kanye West… Adesso c’è Lil Baby, Future, Roddy Ricch”.
Di italiani ne ascolti? “Ascolto Lazza, Sfera, Capo. Anche ieri ero con Lazza. Mi piace la loro musica, sono bravi ragazzi. Prima di arrivare in Italia li ascoltavo già”.
Con loro ci faresti mai dei feat? “Vediamo. Ci dobbiamo parlare. Chiaro che Lazza, Capo e Sfera sono ad un livello alto. Io sono aperto a tutto, sarebbe un piacere fare un pezzo con loro”.
Canterai mai in italiano? “Devo imparare ancora un po’ le parole, ma non è difficile. Prima pensavo che lo fosse, non avevo mai provato, ma sono andato in studio e ho provato un paio di volte ed è andata bene. È facile perché io parlo sempre della mia vita, delle cose che mi sono successe, le cose belle e le cose non belle”.
Il tatuaggio OTF: “Vuol dire “Only the family” (solo la famiglia, ndr). Poi ho messo anche il codice postale del mio quartiere, vuol dire che quelli che mi hanno visto crescere da piccolo sono la mia famiglia, quindi sono sempre con loro. Dove vado sono con loro”.
Anche il tuo nome da rapper, Way 45, ha un legame con il posto da dove provieni: “Way in inglese vuol dire cammino, 45 è il codice postale del mio quartiere”.
Come si chiama il tuo quartiere? “Bairro da Jamaica”.
E cosa facevi quando eri piccolo in quartiere? "Giocavo sempre a calcio. Anche i miei amici di oggi sono i miei amici di quartiere. Loro facevano le cose che io non potevo fare, perché da piccolo ho cominciato a giocare a calcio. Non potevo andare a ballare o cose così perché c’era allenamento al mattino. Giocavo sempre a calcio lì, tutto il giorno. Quando posso torno in Portogallo e vado lì, ci sono i miei parenti e vado a trovarli. Quando ero piccolo non posso dire che ero povero ma mio padre ha passato momenti difficili per aiutarmi. C’erano degli amici che potevano comprare scarpe da 300€, io non potevo. Invece oggi posso comprare quello che voglio, posso aiutare la mia famiglia perché mio papà non lavora, così come mia mamma. Li posso aiutare”.
Come andavi a scuola? “(Ride, ndr) Penso che ero un ragazzo intelligente. Quando giocavo nello Sporting andavo nella stessa classe con i miei compagni di campo. Quando iniziavano a fare casino iniziavo anche io, poi dovevamo uscire perché il nostro professore non poteva continuare. Penso comunque che ero un ragazzino intelligente e tranquillo. È arrivato un momento in cui non potevo continuare la scuola, perché c’erano allenamenti e partite. Anche da piccolo mio papà ha cercato di trovare un club per me, ho cominciato a giocare così a sette anni. Dove abitavo io c’era una persona che lavorava per un club vicino, e di fronte casa c’era un giardino dove giocavo sempre insieme agli altri bambini. Io ero sempre lì a giocare, lui mi ha visto e mi ha chiesto se giocassi da qualche parte. Io gli ho risposto di no e che c’era mio papà che stava cercando un club per cominciare. Mi ha detto di andare nella sua squadra e fare un paio di allenamenti, poi avremmo visto. Sono andato lì, ho fatto un allenamento e ho cominciato a giocare in quel club, si chiama Mora. Tre settimane dopo ho firmato con il Benfica, ma non avevo la possibilità di andare agli allenamenti perché Lisbona era lontano, e loro mi hanno detto di stare tranquillo, che sarebbe arrivato qualcuno ad accompagnarmi agli allenamenti tutti i giorni. Ho firmato con il Benfica, ho aspettato una settimana: non sono mai arrivati. Dopo una settimana dopo mio papà li ha contattati e ha detto che sarei andato in un altro club. Sono andato quindi allo Sporting, e poi da lì… C’erano persone vicine a me che dicevano che potevo arrivare lontano. Io avevo il talento però poi in allenamento… Mi piaceva il calcio, ma in testa non sapevo dove sarei potuto arrivare in futuro. Poi c’è stata una riunione con me e mio papà, ci hanno detto che forse sarei dovuto andare via perché quello che stavo facendo, fino a quel momento, non stava andando bene. Quindi forse avrei dovuto trovare un altro club. E lì mi sono messo in testa che mi dovevo svegliare e concentrarmi per lavorare e mettermi nelle condizioni per arrivare al top. Voglio vincere tante cose, cose importanti, essere importante nel mio club e vincere trofei individuali”.
Dal punto di vista musicale invece a che punto sei? “Per adesso vedo la musica come un hobby. Non penso di arrivare così al top. Ma cerco di fare le cose bene perché mi piace, anche che le persone capiscano quello che voglio dire. Adesso stiamo facendo uno studio a Lisbona, una cosa bella, vogliamo portare anche altri rapper a registrare. È una cosa step by step”.
Qual è la tua canzone preferita? “Desabafo. Parlo della mia famiglia, del mio territorio, quello che ho passato, le persone importanti della mia vita che mi hanno portato fino a qua. Volevo raccontare la mia storia, come dicevo prima, quando ero un ragazzino e c’erano i miei amici che davanti a me facevano cose che io non potevo fare. Doveva essere un cammino, e io ci ho giocato”.
Quante canzoni hai scritto in totale? “Non riesco a dare un numero esatto. Più di 50. Quando arrivo a casa mia in un giorno faccio 2-3 pezzi. Finisco allenamento, arrivo a casa, riposo, mi sveglio alle 17:30/18, guardo Netflix, ascolto un beat. Vado in studio alle 19, alle 20:30 mangio e alle 22, 22 e 30 prima di dormire faccio questa cosa fino a mezzanotte”.
Cosa pensano di questo tuo side project i tuoi compagni di squadra? “Prima ridevano un po’, mettevano le canzoni come sfottò e io gli dicevo subito di toglierle (ride, ndr)”.
Chi è quello più gasato da questa cosa? “C’era Dani Malda (Daniel Maldini, ndr) e Alexis (Saelemaekers, ndr)”.
Invece chi è che la capisce un po’ meno? “Zlatan (ride, ndr)”.
Qual è l’obiettivo che ti sei posto dal punto di vista calcistico e dal punto di vista musicale: “Nel calcio la Champions League, nella musica portare il mio nome più in alto possibile. Essere conosciuto al top della musica”.