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Italiane in Europa dal 2010: che flop!
Dopo le gare arcigne e spigolose delle italiane che hanno prodotto 2 vittorie su 6 partite è interessante concentrarsi su uno studio che compari l’oggi con gli ultimi sei anni di prestazioni continentali delle nostre formazioni. Il tutto, come si fa nella difficile arte della storia comparata mettendo in parallelo la situazione al 5° turno, sia in Champions sia in Europa League.
Siamo in quello spazio dove già alcuni verdetti sono riconosciuti e hanno valicato la soglia della cronaca per diventare dato storico e tecnico e, dove altri sono ancora aperti. Il nostro viaggio nei mari procellosi dello scontro internazionale tra lo stile italiano e quell’europeo parte dalla stagione 2009-10 quella dell’ultima vittoria italiana in campo europeo, con l’Inter del Mou e di altri campioni. Ultimo acuto della nostra competitività. E soglia di studio assieme alla finale di Champions della Juventus nel 2015 contro la squadra della decade, il Barcellona.
Un primo dato interessante emerge: Oggi siamo come risultati tecnici nel 2009 o nel 2011, fate voi. No, non siamo fuori dal tempo ma è la comparazione del calcio che lo dice. Prendiamo prima la Champions. Nel 2009-10 al 5° turno la Fiorentina era già qualificata mentre le tre grandi tradizionali (Juventus, Inter e Milan) lottavano in duelli punto a punto rispettivamente con Bayern, Rubin Kazan e Marsiglia.
La Juventus era tre punti sotto il Bayern, L’Inter pari a 6 con i russi e il Milan era avanti con il Marsiglia per 8 punti a 7. Quindi equilibrio e pericolo allo stesso tempo di uscire. Elemento questo in relazione con l’oggi dei nostri orizzonti europei con la situazione del Napoli, che deve fare punto a punto con Benfica e soprattutto Besiktas.
Se ci mettiamo l’Europa League di quell’anno, vediamo come la situazione era ancor più a forte rischio con tre squadre in bilico al 5° turno (Genoa pari punti col Lilla, Roma + 1 e +2 su Basilea e Fulham e Lazio a – 3 dal Villarreal), oggi abbiamo già due eliminazioni. Aggiungendo la stagione 2010-11 arriviamo a una prima conclusione: se la Champions allora migliorò con tre qualificazioni (Inter, Milan e Roma) la seconda coppa europea ripeteva la nostra difficoltà nell’avere un cammino regolare e forte. Lì ci furono tre eliminazioni su quattro e il Napoli di Mazzarri e Cavani era sotto di due punti dallo Steaua e a forte rischio di eliminazione.
Il parallelo ci dice che sei - cinque anni fa facevamo la stessa fatica di oggi a qualificarci già al 5° turno, cioè con una giornata di anticipo sul calendario. Al netto dei diversi avversari (sei anni nel calcio sono un’eternità) e di nuove squadre che sono nate e hanno cambiato la geografia del pallone (le costruzioni di Psg e City ad esempio, ma non solo) appare chiaro che il nostro calcio in questa generazione deve rischiare il tutto per tutto e sempre, per non uscire dalla competitività. Non siamo regolari e sempre concentrati.
La nostra storia grande e affascinante probabilmente ci trae in inganno e ci fa dimenticare di un principio filosofico del gioco, l’importanza dell’avversario indipendentemente dal nome. Grande o medio che sia l’avversario ci fronteggia con qualità e soprattutto in Europa League siamo stati costretti a veri spareggi dopo il 5° turno, per la sopravvivenza europea. In cinque dal 2011-12 alla scorsa stagione cinque nostre squadre (Lazio, Udinese, Torino, Napoli e Fiorentina) sono arrivate al play-off nel play-off per usare un’espressione americana, a fronte di quattro qualificazioni anticipate (Napoli e Lazio, nel 2016 e Inter e Fiorentina nel 2015). Cinque a quattro, seppur di poco siamo sotto. Gli avversari erano Vaslui, Celtic e Lech tra gli altri a conferma che in Europa il nome viene dopo e ci vogliono studio, ritmo ed efficacia con tutti gli avversari, e non solo con i rivali storici.
La stessa situazione vale per la Champions: dopo il biennio 2011-13, dove al 5° turno avevamo già qualificato, sommandole, quattro squadre e la quinta, il Napoli aveva a un turno dalla fine un vantaggio negli scontri diretti con il Manchester City; ci siamo ritrovati sull’altalena della roulette russa degli spareggi e dei pareggi impauriti e paurosi da “qualificazione”. Sempre così senza poter raggiungere in anticipo l’obiettivo ottavi. Segno d’incertezza e di una domanda che continuiamo a non farci: come migliorare le nostre prestazioni, per renderle più sicure e vincenti? Vediamo ancora: nel 2013-14 duello Milan-Ajax, Napoli nel girone infernale con Arsenal e Dortmund quello dei “12 punti pari” e Juventus solo +2 sul Galatasaray prima del pantano di Istanbul, uguale alla pioggia di Waterloo. Gli avversari contano qui, ma nel punto a punto, nel cazzotto a cazzotto, sbarelliamo con gracilità.
Nelle due stagioni successive (2015 e 2016) incertezza ancora sovrana alla quinta, con Juventus (un po’ più avanti nei lavori) e soprattutto Roma in grande difficoltà e costrette a spareggi visto i bassi punteggi (Roma con la media di un punto a partita per due anni, troppo poco). Le ragioni in questi anni recenti sono tecniche: un campionato meno allenante, il ritmo delle nostre partite più basso rispetto all’Europa, una colpevole disaffezione per la tecnica, caposaldo del nostro gioco (soprattutto a centrocampo) in onore della copiativa del possesso palla ed ecco spiegate le difficoltà con Olimpiakos e Bate Borisov.
Riassumendo negli ultimi sei anni (dal 2009-10 a ieri) abbiamo qualificato sommando Champions a Europa League 17 su 47 squadre al quinto turno senza aspettare la fine del girone. Numeri netti di una filosofia: il risultatismo italiano in Europa conta meno se non è accompagnato dall’efficacia e da un’idea.