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    Laziomania: quel pugno in faccia di bellezza che chiamano derby

    Laziomania: quel pugno in faccia di bellezza che chiamano derby

    • Luca Capriotti
    Ci sono date che sono segnate sul calendario appena l'urna le estrae per ogni tifoso. Ci sono date attese, come se dalla stessa attesa, dal rispetto dei riti, delle scaramanzie, dei soliti gesti passasse in qualche modo oscuro il risultato finale. Ci sono date, ed è questo il giorno, ed è oggi, che si aspettano come se da un solo tabellino, un solo marcatore, una sola singola partita dipendesse la felicità, le settimane a venire di un'intera città. Lazio e Roma si affrontano in quello che da più parti viene definito un derby di alta quota, un derby diverso, un derby in cui sono cristallizzate voglie di altezza e desideri che la città eterna non viveva da anni. Per questo l'attesa è stata particolarmente ansiogena, vera, in casa Lazio: le condizioni di Immobile hanno tenuto i tifosi con il fiato sospeso, con Caicedo out Inzaghi avrebbe dovuto schierare un Nani scalpitante, scolpito mentre, a 2 giorni dal derby,  spera di partire titolare, in attacco, una specie di falso nueve atipico. Piccoli segnali: l'ultimo allenamento al Fersini, il campo di gioco della Primavera, dedicato ad un ragazzo del settore giovanile scomparso. Il Fersini è il terreno di gioco del quartier generale biancoceleste più esposto agli occhi di curiosi e addetti ai lavori. Inzaghi ha già in mente la formazione, Inzaghi non deve provare nulla, la sua Lazio vive di automatismi e non ha nulla da nascondere. I cronisti raccontano un Inzaghi che ci crede, un Inzaghi che è carico, un Inzaghi che grida ai suoi, li aizza, li spinge verso il derby. Sa bene che è una partita che può essere decisa dai soliti noti o dall'outsider di turno. Sa bene che i segnali contano: in settimana Strakosha empatizzava con Immobile e Parolo, Luis Alberto regalava a Murgia la sua prima maglia da nazionale spagnolo. La Lazio è un gruppo, ha un popolo che l'aspetta all'Olimpico (pieno, quasi pieno, comunque regalerà atmosfere incredibili). I tifosi si sono incontrati con ultras di tutta Italia, una settimana prima, per onorare la memoria di Gabriele Sandri,  e si dicono tra loro che è il suo derby, il derby di Gabriele, che non si può sbagliare, che non si può fallire. Le ore passano, rintocchi di presentimenti e segni, scaramanzie, ansie, sguardi. Che facciamo? Come finisce? Lo sguardo che per un attimo si perde, tifosi in circolo, la notte prima, come se stare insieme garantisse una qualche forma di immunità all'emozione forte, al pugno di bellezza che darà loro l'Olimpico stracolmo quando avranno finito gli scalini, e rimarrà solo un intenso attimo di 90 minuti, una lunga stretta col vicino di seggiolino. Forse Roma e Lazio non daranno spettacolo (ma perché non dovrebbero?), forse l'agonismo supererà il gesto tecnico. Ma queste ore di attesa, la notte prima, e gli sguardi i messaggi i riti gli sfottò e la gara a chi parte sfavorito, a chi la spara più grossa a chi ama di più, forse non possono essere racchiusi in 22 signori che in campo inseguono in pallone. Forse è solo tutto il bello del calcio. Forse è solo questo, il calcio che si ricorda (e Dio solo sa quanto ne abbiamo bisogno, in questa settimana) quanto sa essere dannatamente bello. Ci sono date segnate sul calendario da sempre. 18 novembre, ecco la data, è questo il giorno, ecco il Calcio. 

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