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Laziomania: Meglio lo Scudetto della Lazio o il fallimento della Roma?
Nota bene: nessuno qui si augura veramente un fallimento societario che sarebbe disastroso soprattutto per gli ultimi, i più esposti, i lavoratori comuni e meno tutelati. È un divertissement da astinenza da calcio, spero sia palese. IL FALLIMENTO DELLA ROMA - Questo quesito non ha senso nel resto d'Italia, a Roma ha tutta una valenza diversa. Io sono nella fase in cui pur di vedere il calcio ho visto la Bundesliga in modalità "Trofeo Birra Moretti". Ma c'è chi intravede l'occasione unica di annichilimento totale dei rivali: la sospensione del campionato metterebbe in gravissima difficoltà economica la Roma. Già, per il club giallorosso si prospetta un'estate lunga: la cessione a Friedkin sembra molto lontana, quasi sfumata, il bilancio grida abissi di disperazione e qualcuno già parla di cedere Zaniolo, fino a poco tempo fa il nuovo Totti.
I MIEI SCELLINI SULLA QUESTIONE - Io sono del partito secondo il quale trovare un rivale di questo tipo, per la vita, sia la cosa migliore che possa capitare ad un tifoso di calcio: il derby, per due volte l'anno, è quanto di più ansiogeno, forte, allucinante un appassionato di questo sport nel midollo possa desiderare. Non sono un ossessionato dalla Roma, non nutro un odio sportivo mortale se non in quelle due partite, in quei due derby. Nel resto dell'anno considero le prestazioni negative altrui un piacevole contorno rispetto alla portata principale, la Lazio. Ma per qualcuno il fallimento della Roma (che poi non sarà mai definitivo, lo sappiamo bene, è già capitato che squadre ricomprassero i titoli sportivi) è una specie di liberazione definitiva, un salto in una dimensione distopica in cui più di metà della capitale la domenica va a pesca, si occupa di hobby da tempo dimenticati. E non mette più il becco nel calcio, in nessun modo, dal più piccolo al più politico.
UN DILEMMA CHE NON CI RIGUARDA - Ogni tanto leggo i forum dei tifosi, li considero ancora pieni di vitalità, quasi un luogo alternativo agli stadi, dove oramai non sembra esserci posto per spettatori, ma solo per abbonati televisivi. Se lo spettatore diventa sempre più virtuale, lontano, scacciato da un virus e dall'incapacità, per ora, di immaginare un mondo alternativo di vivere lo spazio stadio, questo dualismo in forma di aut aut, questa mors tua vita mea calcistica, mi ricorda che, alla fine, il tifoso ha una capacità unica e autogestita di rigenerare la sua passione. Fosse anche rinfocolandola con la più antica delle emozioni a Roma, l'odio per il fratello che abita la stessa città, e si permette spesso di saltare gli steccati della rivalità, i solchi della decenza, il confine del buon gusto e della civiltà. Ogni tanto penso che sarebbe bello stare da soli a Roma, poi do alla questione il giusto valore e alla vicenda i parametri corretti: l'esistenza altrui acquista tanta importanza quanta gli viene attribuita. Ancora di più, in questi momenti di decadenza di certi colori, e di ascesa potente di altri. Da così in alto, distinguere le altrui vicende per me sta diventando sempre più difficile.