Laziomania: la verità è che non gli piaci abbastanza
Lo immaginiamo ancora, che vagheggia magari un Balotelli in biancoceleste, si mangia le mani perché il suo fedelissimo Pasqual è rimasto in Toscana, e si chiede come, dove muoversi per far crescere la Lazio, dare smalto alla squadra, far rendere al meglio il collettivo. La Lazio che ancora non è sua. L’attesa logora chi non ce l’ha, masticherà amaro tra sé, mentre magari si chiederà se l’ha dato giusto, quel benedetto numero, al presidente Lotito, se in effetti al colloquio sia riuscito a fare una buona impressione. Forse doveva sembrare più inflessibile, ma perché tutti dicono Ventura prediletto di Lotito, che ha più di me, e nel turbinio di elucubrazioni magari starà anche perdendo fiducia, si starà chiedendo, se non sia, alla fine, tutta una mefistofelica finta. Di corpo, Prandelli a terra, in rete un altro allenatore.
Magari tutto nasce per far ingelosire qualcun altro, ha chiamato me ma voleva portare in Nazionale lui per spostare quell’altro. Forse è tutta una sòla, avrà mormorato, con una qualche infarinatura di romanaccio appresa per far bella figura. E già si racconta, direbbe De Gregori, che qualcuno ha tradito: le malelingue parlano di correnti interne al mondo biancoceleste, che porterebbe ad altri lidi, altri allenatori. A Tare piace Montella, dicono, tramontata la suggestione tecnico-straniero, a Lotito piacque tanto Sampaoli, fino al dì fatale delle richieste economiche, ora stravede per Ventura, novello Reja in salsa modernista, ma solo di impianto di gioco, non di certo per età. Tutto è male quel che finisce male: se Prandelli ora venisse chiamato, e nuovamente ufficializzato, dopo tante ufficiosità, qualcuno dovrà spiegargli tanta salamoia, in caso negativo, lo immaginiamo sul letto, sguardo sul soffitto. A chiedersi, se in fondo, come diceva un film tanto amato dalle teenager. A chiedersi, guardandosi, apostrofandosi allo specchio. Forse, Cesare, la verità è che non gli piaci abbastanza.