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    Laziomania: l'unico Caicedo che conta. Fino alla fine, la Lazio come la Juve

    Laziomania: l'unico Caicedo che conta. Fino alla fine, la Lazio come la Juve

    • Luca Capriotti
    Quando Caicedo ha segnato sotto il diluvio, ho pensato ai tifosi della Lazio arrivati al Mapei. Sotto una pioggia torrenziale, sotto una marea di allerte meteo, sfidando traffico, fango, preoccupazione. Quando Caicedo ha segnato sotto il diluvio, ho pensato all'ennesimo gol di Immobile, sempre di corsa, sempre in gol, come una sentenza, come se fosse già la fine del campionato. Certi bottini, ci sono attaccanti che ci mettono 3 stagioni a metterli insieme. Immobile ci ha messo 3 mesi. Fino alla fine, Immobile, alla fine, è sempre Immobile.  Ho pensato a quanto è bello un numero 10 che fa davvero il 10. Nient'altro che quello: il trequartista, meraviglioso mestiere sempre più raro. Luis Alberto andrebbe conservato in un museo, tanto è raro il suo giocare a calcio. 

    Quando Caicedo ha segnato sotto il diluvio, ho visto una vittoria da grande squadra. Da squadra che, finalmente, dopo la sosta non ha tentennato, non ha dubitato. Ha vinto, conta quello, sempre. La Juventus insegna. Sporca, di fango e pioggia e periferia. Questa Lazio se la porta a casa in maniera brutta, la partita contro il Sassuolo, in una gara strana: una vittoria da grande squadra giocando un secondo tempo così così, mezzo e mezzo, un po' stanco e un po' infreddolito. Il classico secondo tempo post sosta. Una gara strana: vittoria sporca su un campo bagnato con un gol di classe immensa, un fraseggio senza spazio, con Luis Alberto sempre più immerso nella sua vocazione da salvatore della patria. Mi piacerebbe sapere che fine ha fatto Milinkovic... Pensate: questa Lazio con un Milinkovic impiegato, che si accontenta di un po' di chilometri e un po' di ordinaria amministrazione, è terza. Pensate se Inzaghi, un giorno, si ritrovasse quello vero, e non il sosia noioso. 

    Il primo tempo lo consegno di diritto alle classi di giovani calciatori che vogliono approcciarsi al gioco: bello, divertente, con qualche azione godibile, perfino un ottimo Lazzari - da tenere d'occhio sempre più, sta crescendo tanto. Quando Immobile ha portato in vantaggio i suoi, ho pensato a quanto ci vuole, per essere come lui. A quanti anni dovranno aspettare, i tifosi della Lazio, per un altro come lui. Non ci rendiamo conto, che questo è un attaccante che, nella storia del club, si vede una volta ogni 50 anni. Non ci rendiamo conto. 

    Ma non solo: quando il Sassuolo ha pareggiato, la sensazione che qualcosa potesse andare storto, cresciuta nel secondo tempo, c'era. O meglio: che fosse sempre la solita Lazio. Incapace di affondare l'avversario, pronta a cadere nell'ennesimo trappolone post-sosta. Il brivido sentito non era solo il freddo, la pioggia. Era un presentimento: qualcosa andrà storto. Non ci rendiamo conto: solo i laziali, lo conoscono davvero quel brivido. Una sorta di brutto presagio, di chi di cose brutte ne ha viste tante. Un brutto presagio che aveva motivo di essere. 

    Avvalorato da un secondo tempo stanco, avvalorato da un mercato che, alla fine, fa sembrare Patric, Patricio Gabarron, dopo Acerbi il difensore più affidabile in rosa. E se non è un atto d'accusa ad un mercato deficitario in quel ruolo, forse proprio non volete vedere la realtà. Ma nonostante tutto, questo gruppo ha qualcosa in più. Merita qualcosa di più, a gennaio: Tare, metti un promemoria sul cellulare. Hei Google, segna evento: ricordarsi di fare calciomercato, per una volta,  a gennaio.

    Ma la bellezza di questa squadra, per una volta, ha lasciato spazio alla voglia matta di vincere. Forte, fortissima voglia di portarla a casa. Inzaghi sotto al diluvio sempre in piedi, ha azzeccato il cambio da allenatore vero, da top player: Correa spento, fuori. Dentro Felipe Caicedo, sia lode a lui. Divide l'attacco con il più prolifico attaccante italiano, ma riesce sempre a ritagliarsi uno spazio di vitale importanza. 

    Caicedo è l'uomo della nicchia giusta, è l'uomo del momento che conta. E la sua corsa, con la panchina in campo, la fredda voce dagli altoparlanti ad annunciare il suo gol: in quel momento ho pensato a quanto è strana la vita, piovosa e sporca e brutta ma capace di danzare su ali raffinate di stile, verso la porta in folle corsa, una giravolta da danza, da torero, e il Sassuolo finito. Come avrebbe fatto la Juventus, con la stessa cattiveria. 

    La quinta sinfonia di Inzaghi mette un altro tassello, l'ennesimo, un altro urlo feroce: questa Lazio vuole vincere sempre. Questa Lazio ha acquisito una mentalità da grande. E ho ripensato che vincere è prima di tutto uno stato mentale: quella che banalmente chiamiamo DNA vincente si costruisce tassello dopo tassello, Sassuolo dopo Sassuolo, anno dopo anno. La Juve non è la Juve per caso, ma per scientifica costruzione in vitro di mentalità vincente. 

    Non so se davvero la Lazio è in grado di competere fino in fondo per la Champions o è solo il quinto episodio vincente di una bellissima serie tv. Ma non mi importa, ho ripensato a Caicedo con le braccia larghe, e i tifosi della Lazio stretti, sotto un torrente di pioggia, ad abbracciare i vicini, fradici di gioia, e la lunga corsa della panchina. E ho pensato che del domani, di gennaio, non mi importa. Mi godo questa piccola Juve, ma che dico. Mi godo la bellezza della Lazio, che gioca meglio della Juve, ma ha imparato a vincere come fanno loro, fino all'ultimo. Fino alla fine, fino alla corsa a braccia larghe di Caicedo, e i tifosi della Lazio fradici, abbracciati, urlanti, felici.  Fino alla fine, fino a Caicedo. 

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