Laziomania: il silenzio dei tifosi nel derby di Roma, che non capirete mai
IL SILENZIO DEI TIFOSI - Certo lo so, il clamore delle radio sale alto sulle sponde infreddolite - e poco curate - del Tevere, certo lo so, perfino vicino lo stadio dalle automobili in fila - non troppe file, molti sono a casa tra smartworking e DAD, parole che oramai consideriamo, soppesiamo come normalità - sale la voce degli speaker, gli interventi dei tifosi dosati, centellinati, rintuzzati. Commentano, analizzano, ricordano: ma allo stadio non ci saranno. In questa pandemia si è capito che alcune attività economiche hanno una preponderante precedenza (poche, pochissime, a dire il vero), altre invece possono stare chiuse, transennate. Non farò filippiche su scuole, musei, o altro. Non posso paragonarle a quel tempio laico che si erge sotto la statua della Madonnina dorata di Monte Mario: ma sottolineo, se ce ne fosse bisogno, che le soluzioni ai problemi, le exit strategy, perfino una visione d'insieme in questo paese non siano mai davvero lecite. O meglio, lo saranno per Sanremo, non per un luogo all'aperto, l'Olimpico di Roma. Dove i giornalisti possono lavorare, ma i tifosi non possono vivere Lazio-Roma.
IL DIVIETO DI ABBRACCIO - Forse meglio così, mi dico: un derby Lazio-Roma col divieto di abbracci non me lo merito, non ce lo meritiamo. Vorrei tornare quando si sarà schiuso l'orizzonte, quando si sarà spezzata la muraglia dei numeri pandemici, quando l'unica prudenza che dovrò avere sarà quella di non finire nella Curva sbagliata. Non per paura di violenze o ritorsioni, ma per evitare di sentirne discorsi, ambizioni, visione del mondo e realtà parallela. Forse meglio così, mi dico, e mi riduco e ci riduciamo ad un derby di emergenza, senza tutto quello che è per gli altri cornice, per gli altri solo la coreografia magnificata in tv, ad uso e consumo dei media e delle loro telecamere. Lo stadio per chi l'ha vissuto non sarà mai quello. Non sarà mai un pezzo di legno intorno al quadro, lo zoom di un cameraman, ma è sempre stato e sempre sarà la pittura stessa, i colori vitali, la sensazione che il corso degli eventi non sia legato a 22 giovanotti, ma che tutto l'insieme, noi, i tifosi avversari, i cori, la voce che sparisce faccia la differenza reale tra vittoria e sconfitta, abbia il potere magico di incidere sul risultato, sulla storia. Di scrivere infine la leggenda di questa partita.
QUELLO CHE FACCIAMO DAVVERO - Nello stadio ci sarà silenzio, ma voglio pensare che no, non ci ridurremo ai nostri bugigattoli, ai salotti, alle televisioni. In qualche modo, il boato ci sarà. In qualche modo, i tifosi sentiranno in quel momento preciso quel legame indissolubile. I tifosi lo sanno, che significa, lo riconosceranno, ci riconosceremo il giorno dopo ancora dalla voce che manca: sanno cosa vuol dire avere il potere di cambiare la storia di un pallone che agli altri invece sembra dominato da un ammasso di tacchetti, muscoli, idee, gel, social, fiato, polmoni. Agli altri, per gli altri, che non sanno vederne davvero l'anima, il risultato è determinato dai 22, per gli altri. Che non sono tifosi, che non capiscono davvero il derby della Capitale. Il silenzio dei tifosi allo stadio, ma quello che facciamo davvero alla partita lo sappiamo solo noi, si riconosce, ci riconosceremo nella voce che non c'è, il giorno dopo.