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Laziomania - Il mio, il nostro Simone Inzaghi e la sua lettera ai tifosi
SIMONE INZAGHI, ECCOLO - Terzini che hanno giocato al centro, esterni che hanno cambiato fascia e trequartisti diventati mediani: in questi anni per lui si sono sacrificati i gregari e i talenti, da lui sono andati ad esultare geniali interpreti come Luis Alberto e ragazzini nella storia come Murgia. Su di lui hanno sparato a zero tutti negli anni, ma i suoi giocatori mai. I suoi giocatori non hanno trovato in lui un sergente di ferro o uno stratega illuminato, ma un amico, un fratello, un padre. Uno per cui vale la pena sacrificare qualcosa. E la sua tensione verso il risultato, verso i suoi, il suo seguire sempre in campo, sempre fuori dall'area tecnica tutta l'azione, le sue corse forsennate e i suoi abbracci strappagiacca potranno non essere stati da laziale (parola forse abusata, forse no) ma sono stato da uno innamorato di questo gruppo, di questa città, di questa squadra. Come un tifoso? Magari no. Come uno che è rimasto per anni, che ha sacrificato tanto e ha amato tanto ha lottato tanto ha detto poco quando poteva sputare e esultato tanto quando tutti eravamo abbracciati. Lo dice anche Inzaghi nella lettera: per questa squadra ho sacrificato tanto. E noi con te, Simone. Noi più di te. Noi non ce lo meritavamo, ma la vita è così. Non meriterai i fischi, sotto la Nord. Ma qualcuno ancora arrabbiato - magari non del tifo organizzato - lo troverai. Qualche fischio, lo troverai. E non te lo meriterai.
IL MIO INZAGHI - Non so se l'ho mai raccontato, ma per me Simone Inzaghi è altro. Ho lavorato come ufficio stampa con lui e per lui negli Allievi, in Primavera. L'ho seguito ovunque in Italia, ne ho sentito i racconti, apprezzato la capacità di aprire porte, scardinare solitudini, avvicinare le persone. Simone Inzaghi è quello che non voleva mai farsi offrire il caffè, nemmeno dai baristi che lo riconoscevano, è quello che parlava di continuo con il quarto uomo o con i guardalinee già sui campi giovanili, allergico all'area tecnica e pronto a correre in campo dai suoi ragazzi. È quello che gioca le partitelle in allenamento come fossero l'ultima cosa da fare della vita e sul pullman parla dei suoi 4 gol in Champions, magari ridendo di un gol sbagliato con il suo attaccante del momento. È quello che, in un mondo dove molti segregano, separano, distinguono gli ambiti, fa sedere al tavolo con lui tutto lo staff e ne ascolta le opinioni (TUTTO LO STAFF), e magari all'improvviso presenta a tutti il fratello. Che come lui non ha bisogno certo di presentazioni.
È quello che risponde agli auguri di tutti sul cellulare, gentile con tutti, sempre, educato da una famiglia solida e presente. Per me Inzaghi è "Luca, ti presento Filippo", Inzaghi, prima di un Inter-Lazio Primavera di Coppa Italia (Filippo allenava il Milan, e conosceva a menadito tutti i giocatori del campionato, molto meglio di me che pure lo studiavo ogni giorno). Per me Inzaghi è una pietra viva di Formello, un pezzo della mia vita anche. Un pezzo di questa Lazio. Uno stupido finale, qualsiasi esso sia, non può togliermi dalla testa e dal cuore il mio Simone Inzaghi, il nostro Simone Inzaghi, i fotogrammi, i trofei, i derby, la Roma dietro, e la corsa folle al 96' o 97', vicino a noi, per noi, insieme a noi. Per questo la lettera è stata superflua. Chi ha ricordi veri, non ha bisogno di lettere. Ma era dovuta. Chi ha ricordi veri, ha bisogno di leggerla, rileggerla, ripensarci. E magari, prima di iniziare questa nuova avventura, da solo, anche di rabbia, buttare fuori qualche stupida lacrima calcistica. Se il calcio non regalasse queste emozioni spaccate in cuore, non lo seguirei, non lo seguiremmo.