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    Laziomania: follia senza senso, la Lazio non vuole davvero la Champions

    Laziomania: follia senza senso, la Lazio non vuole davvero la Champions

    • Luca Capriotti
    Bisogna dire le cose come stanno: quella contro il Chievo è stata una sagra dell'orrore e del cialtronesco, una partita inguardabile. Luis Alberto alla fine ha fatto un applauso ironico a Chiffi: dovrebbe farlo alla Lazio. Quello che si è visto in campo è un arrancare senza senso. La motivazione che il pareggio del Milan dovrebbe aver iniettato nella Lazio è un virus: intorpidisce gli uomini di Inzaghi, forse troppo attenti ai rossoneri per accorgersi di dover giocare. 

    E Inzaghi e i suoi finiscono nel trappolone Chievo: squadra già retrocessa che onora la Serie A e fa il suo onestamente. E riesce a portarla a casa senza fatica, soffrendo il minimo sindacale. Dall'altra parte una specie di misto indecoroso di stanchezza, rabbia senza senso, cose folli: qualcuno dovrà spiegarmi un giorno, magari consultando migliaia di manuali di psicologia inversa, come possa essere possibile, in questa partita così importante, in questa gara così delicata, che Milinkovic si faccia buttare fuori così. Anzi lo spiego: è frustrazione. E lo è perché già in quel momento in campo aleggiava un'aria assopita, stancante, stantia. L'aria di chi, in Champions, non ci vuole andare.

    Squadra sott'olio: galleggia in basso e in alto, senza riuscire ad avere una reale identità, forte. Non ci si vuole andare: voglio pensare che questo sia un moto volontario, che ci sia la voglia di Europa League, che si abbia una passione incredibile per il giovedì europeo. Forse è l'unica spiegazione razionale possibile. Tutto il resto è talmente senza senso che sembra quasi di vivere in un incubo. Non è una corsa Champions questa, è una resa senza condizioni, inebetiti ed immobili. 

    I singoli: Immobile da qualche partita è la copia da Nazionale di quello che conoscono alla Lazio. Impalpabile, senza forza, senza mirino. L'unico che si salva, insieme al povero Correa, è Caicedo. Almeno ci prova, ha la forza di mostrare un atto di volontà. Gli altri sembrano solo voler rientrare negli spogliatoi. 

    Frustrazione: altra parola-chiave. Luis Alberto con quell'applauso fotografa il momento Lazio: un immenso, societario, probabilmente genetico vorrei ma non posso. Probabilmente incurabile, anche. E questo è forse il dramma silenzioso più grave. 

    La colpa è di tutti, ma è prima di tutti del mister: questa è una suqadra spompa, demotivata, triste. E non è concepibile, ancora pienamente in corsa per la Champions. Anzi, forse la parola più giusta è vergognosa. Questa è stata una partita vergognosa, senza se e senza ma. Una picconata ai tifosi perbene, una picconata agli appassionati biancocelesti. Dirò una cosa forte: questa sconfitta deve essere il bigliettino d'addio per almeno metà di questa squadra. Non può passare il messaggio che sia normale aver perso forse definitivamente il treno Champions contro Sassuolo, Spal e Chievo. Francamente è una sofferenza inspiegabile, e anormale. Perdere in casa contro una squadra già retrocessa non è una beffa, è una pietra tombale. E ora, anche solo ad averla nominata, la Champions, bisognerebbe vergognarsi. Anche ad aver nominato la Ferrari, a dire il vero. 

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