Laziomania: Felipe Anderson, ci hai rotto i... cuori
Qui Lazio, mi sentite? Io sono stato pazzo di Felipe Anderson. Ho anche dei pregi, ma intanto andiamo per gradi. Impressioni di inizio giugno: la Roma prende Coric, Cristante (ma non piaceva alla Laz...), sta cercando di prendere Kluivert. Ora cederà, ma ci hanno già fatto l'abitudine. In casa Lazio, mi senti? Houston, abbiamo un problema di comunicazione: cosa può controbilanciare l'altrui mercato? Non solo della Roma, provincialotti, ma anche dell'Inter. Non solo dell'Inter, ma anche del Milan (lo farà? Con quale budget? Con quale presidente?)
Qui il problema è di comunicazione: le altre sembrano fare, per una loro programmazione, la Lazio sembra (sottolineo sembra) quasi ferma. Ferma non lo è, però nelle radio romane (che sono una specie di elettrocardiogramma del tifoso di Lazio e Roma), i messaggi che arrivano sono già parecchio arrabbiati. Per quello dico: stiamo un attimo calmi.
Il problema è di comunicazione, non di strategia: la Lazio si sta muovendo da mesi, ha intavolato trattative, chiuderà a breve un centrale (l'altro in forse, se dovesse cedere uno tra Bastos e Wallace). Ha maturato la decisione sul futuro di Felipe Anderson: il suo ciclo alla Lazio è finito. Vi apro un po' quello che penso davvero: se dovesse partire, ecco, mi farebbe davvero male. Quando è arrivato io lavoravo alla Lazio, mi ricordo i suoi primi sguardi, i primi scatti, io che giuravo a tutti: "L'ho visto, è fortissimo, è forte davvero". Ci ho scommesso la casa, la reputazione, i capelli bianchi, mi ha fatto arrabbiare, mi ha deluso, l'ho riabilitato, l'ho perdonato, si è fatto odiare, bestemmiare, amare, adorare, pregare come un dio pagano, capriccioso e potente.
La sua storia sembrava sempre di più una rotonda della periferia di Roma. Entrava, appena qualcuno lo superava, lo contrariava, gli tirava un vaffa, lui si incupiva, continuava a girare a vuoto, a 40 all'ora, lui che è una specie di volontà saettante, un mosaico di giocate e rotture dei limiti fisici e di velocità.
Mi è sempre sembrato un po' me stesso nella vita: quando l'ho visto, mille e mille volte, sfiorare il pallone, e poi incaponirsi senza motivo andando a puntare 2, 3, 4 avversari, senza alcuna speranza di successo, anzi con l'unico risultato di ritrovarsi un po' fischiato, mugugnato, bollato come eterno incompiuto. Mi sei sempre sembrato un po' me stesso: senza motivo puntare cose insormontabili, che puntualmente si dimostrano per quello che sono. Insormontabili, appunto. Ma poi quando riesce, e Dio sa che riesce, almeno una volta, tutti in piedi, subito! E solo applausi, grazie.
Per me Felipe non è un eterno incompiuto. Dentro di me è una specie di promessa che in qualche modo è mantenuta, ma come si mantengono certe promesse della vita, che le capisci dopo anni, e anni, e anni, e dopo anni capisci la reale portata di alcuni eventi, di certe persone speciali. La sua maturazione è compiuta in realtà, ha già raggiunto una consapevolezza diversa rispetto al ragazzino timido che cincischiava vicino alle macchinette, con poche parole in italiano tra le labbra e una cresta favolosa, di quelle che avrei voluto avere il coraggio di portare.
Qui Lazio, mi sentite? Impressioni di inizio giugno: davvero via Felipe Anderson? E soprattutto, Felipe, mi senti? Non so come andrà a finire, anzi, lavorandoci mi sono fatto l'idea che questo sia quasi un addio. In caso, non lasciare troppo in disordine il tuo armadietto a Formello. Che hai già disordinato abbastanza i pensieri, le emozioni, le gambe e le rabbie e i mugugni con quel tuo ultimo dribbling, l'ultimo tentativo di affermarti contro l'Inter, il gol, gli errori, icona di una carriera. Che hai già dribblato abbastanza, lottato abbastanza. Per chi ti ha sempre criticato, non sei abbastanza. Abbastanza anche per chi si è sempre appassionato al tuo tocco, alla velocità pazzesca con cui riesci a far viaggiare gambe, pallone, idee: ci hai abbastanza rotto il cuore, con la sola idea che tu possa andare via.