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    Laziomania: dov'è la riva?

    Laziomania: dov'è la riva?

    • Luca Capriotti
    La domanda rimane, impressa: di chi è la colpa, se il brio e la curiosità di fine mercato a Roma, sponda Lazio, a fine mercato non c'è mai. Neppure un Witsel saltato all'ultimo minuto. Neppure un Calveri di corsa. La Lazio ora è più strutturata e profonda, ha tappato quel che doveva tappare. Ma non ha fatto parlare di sè, non ha ecceduto, non ha investito, non ha sparso a profusione un deposito paperoniano di dollari per recuperare prestigio e colmare il gap allucinogeno con le altre squadre del campionato, specialmente quelle che hanno concluso davanti la scorsa stagione. La gestione delle cessioni e acquisti ha lasciato qualche perplessità. Bisogna essere onesti: la maggior parte degli arrivi che abbiamo assaggiato fino ad ora (e parlo di Bastos, Lukaku e Immobile) hanno destato più che buone impressioni. Ma la gestione del fatidico e fatale sostituto di Candreva, che si sapeva sarebbe partito, e che si sapeva andava sostituito, lascia attoniti al nunzio del sostituto suddetto. Luis Alberto può anche piacere, incuriosire, anche andare bene, anche fare bene in A: ma un Nazionale italiano col rendimento e la caratura di Candreva meritava e pretendeva un sostituto di maggior pedigree e spessore. Magari preso, Dio ce ne scampi, lo diciamo a bassa voce, perfino allo stesso prezzo di cessione di Candreva. Per non parlare della gestione del situazioni spinose che si sono venute a creare. Keita su tutte. Se i rapporti sono incrinati, e francamente lo sono, a fronte di un patrimonio tecnico indiscutibile unito al giovane età, perché non cederlo? Assecondando tra l'altro la sua volontà. Invece resterà, farà la pace. Alla Lazio non piace essere forzata, a Lotito meno che mai: ma forse a volte maggior problem solving gioverebbe. Problem solving in managerialese è la risoluzione pronta di situazioni di crisi. Ecco, il problem solving in casa Lazio è stato bivalente Da una parte linea dura della comunicazione e di Peruzzi, con avallo tecnico di Inzaghi, che infatti Keita non l'ha più convocato. Dall'altra l'astensionismo di mercato, con il risultato opposto di quello auspicato (da Keita) nel nome di un certo e feroce e sparone portafoglismo ostinato. Che ora ci costringe a guardarlo negli occhi, il povero Keita, e a costringerlo a recitare nel migliore dei casi per la Lazio e per lui il peana del mea culpa. Nel peggiore a vederlo, fino a gennaio, a riflettere sul concetto di punto di partenza. Che non è per tutti. E qui si va a toccare un altro punto dolente: il trend ombroso della gestione Tare dei giovani biancocelesti. Come è possibile che la Primavera delle meraviglie abbia sfornato solo Keita lo scontento e Cataldi il riservista? Gli altri? Se è vera la voce, e sappiamo sia così, che a Tounkara e Minala è stata proposta la rescissione, i contorni di una generazione bruciata sull'altare sghembo di prestiti tarocchi fa male agli occhi. L'impressione di fine mercato è chiara, e marca il territorio di un predestinato, si spera sconfessato dai fatti, ridimensionamento. A tristezze di Europa League disegnate come scudetti, e l'ennesima Biennale di riflessione (comincia quella di Venezia, continua quella della Lazio), con un anno buono e l'altro a remare indietro. E nel frattempo, anche il ds Tare dagli occhi di bragia sembra un po' stanco di remare, un po' svuotati di poteri e facoltà e perfino antiche abilità. Forse anche, di tutto questo tempestoso navigare lotitiano, ha un po' nel viaggiare dimenticato il senso. Che sará pure utile il viaggio, endemica la transizione. Ma bisogna pur arrivare, prima o poi, all'altra riva. Ammesso che ci sia.

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