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    Laziomania: Di Padre in Figlio non è una cazzat@

    Laziomania: Di Padre in Figlio non è una cazzat@

    • Luca Capriotti
    "Di Padre in Figlio" non è una cazzat@. L'evento organizzato dalla Curva Nord, dai campioni d'Italia della Lazio '74 e dalla società non è solo una serata estiva, stretta dall'afa e dal calciomercato. Al contrario, rischia di essere qualcosa di vitale, di profondamente connaturato con il nostro sport. Non con la squadra, con il calcio proprio. Che si basa, come tutte le culture, semplicemente su un dato di fatto: la trasmissione. Che per sua natura è dapprima orale, poi con il comportamento. L'evento "Di Padre in figlio", che riunisce all'Olimpico i tifosi della Lazio di tutte le età, non è una boutade di inizio estate. In effetti è qualcosa di molto più vicino al calcio vero, essenziale, di quanto possa mai esserlo il calciomercato, le cifre folli, i conti che non tornano (quelli della Lazio tornano sempre, qualcuno poi invece ci spiegherà come si credere ad un campionato con squadre costantemente sotto la lente d'ingrandimento della Uefa, non solo in Italia). 

    Essenziale perché probabilmente va a indagare la natura più intima di questo sport: quel rapporto sacrale tra lo spettatore e la partita, talmente stretto da rendere impossibile la negazione nei confronti delle persone a loro volte più vicine, più strette. Può essere in qualche modo 'passato' il tifo calcistico? Probabilmente sì, ma nella misura di una specie di atto di fede e consapevolezza: fede che in qualche modo la trasmissione venga data e ricevuta con lo stesso grado di intensità, consapevolezza di quanto sia fragile il percorso umano, le scelte, quante siano le aspettative deluse. E reagirvi in una sola maniera: con la speranza che il nostro vissuto non vada perso, mai. 

    Non finisca, in qualche modo: per questo quello che è a tutti gli effetti un semplice evento estivo in effetti non lo è. Richiama una serie di valori che sono alla base del calcio, e si farebbe bene a ricordarlo, ad onta di chi lo vuole televisivo e puramente d'intrattenimento. L'ondata emotiva che lega tra loro i tifosi e allo stesso tempo in qualche modo magico condiziona la partita (ve ne siete accorti tutti, almeno una volta, di poter entrare in campo, in qualche modo oscuro, semplicemente cantando allo stadio) può essere tramandabile? Probabilmente non solo a livello orale: c'è la possibilità che un atto concreto, prendere per mano un'altra persona, uomo in divenire, portarla, fargli vivere, farla innamorare di un'atmosfera, sia forse uno degli ultimi atti da creatore possibili dopo il concepimento, la nascita. Il calcio non cambierà, dopo l'ennesima edizione di "Di Padre in Figlio". Ma per qualcuno, poi, la vita non potrà essere la stessa. 

    Ah, con la speranza, forte, fortissima, di poter ricambiare un giorno quella stretta di mano iniziale. Forse lo stadio finirà di essere quel luogo come lo abbiamo vissuto e amato e ammirato. Ma quando il figlio porterà a sua volta il padre, oramai invecchiato, beh, diamine, non ancora, potremo dirlo a gran voce: non sarà quello il giorno della fine del calcio, non ancora. "Di Padre in figlio" no, non è una cazzat@.

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