Laziomania: aver paura di miracolarsi troppo
Aver paura di miracolarsi troppo. Non serve gridare al miracolo, parlare di miracoli, cercare il miracolo, contro la Vecchia Signora. Nella logica stringente, intelligente e pronta, di Inzaghi, perché a colpi di logica stringente ha costruito due vittorie e ristrutturato qualcosina in casa Lazio, non esiste neppure la parola miracolo. Esiste la parola "personalità", solo a parole, la squadra in questo non l'ha seguito, cercava "crescita", e crescita non s'è palesata.
Quello che serve sottolineare, prima di tutto, è che nel calcio conta la testa. L'intelligenza calcistica si può acquisire, si può esperire, si può rilevare su Marte. E si può anche perdere, scomparire. Partiamo da qui: dal momento in cui la partita finisce. Non al 90', non al triplice fischio dell'arbitro, ma nel momento in cui Patricio Gil Gabarron, in arte Patric, arremba stile corsaro la maglietta di Dybala (lo faranno tutti, prima o poi, perché lo merita, ma si può anche chiedere dopo), e si fa buttare fuori. Sul primo giallo non ci vuole molta intelligenza, da parte nostra, ad entrare nella psicologia del fallo: Mandzukic gli fa il tunnel, colpisce di tacco, a centrocampo, sull'esterno, e Patric lo butta giù, nel più atavico, e lasciatecelo dire, stupido, gesto di frustrazione. Nella ripresa la richiesta della maglietta viene fatta anzitempo, e praticamente comincia il terzo tempo. Gli altri due gol della Juventus non cambiano la sostanza: la Lazio non riesce neppure a scalfire il pensiero fisso che agita le notti bianconere, la forza granitica di voler portare l'ennesimo scudetto a casa, di volere portare l'ennesimo record in casa di Buffon, con l'imbattibilità casalinga, con 2 gol subiti all'attivo nel girone di ritorno. Nel calcio conta la testa: la programmazione, ma anche il cercare di scervellarsi sull'indisponibilità praticamente stagionale di Basta (che poi è sceso in campo per sopperire all'assenza dello stesso Patric, ma non ci sono bollettini medici da tempo che certificano salute e malattia, amen), anche cercare soluzioni offensive. Se quello che dovrebbe essere il primo attaccante della Lazio (Djordjevic), all'unica palla-gol (meglio, l'unico pallone in area di rigore) risponde, sul suo piede, con un gridarello strozzato sulle gambe dell'accorrente difensore, e gli esterni non si cercano mai, allora è stupido riflettere sull'impianto offensivo. Non se ne facciano drammi, per carità, la Juventus non era il banco di prova che serviva a valutare la stagione (già sancita abbondantemente da punti e posizione in classifica), e la differenza abissale tra Lazio e Juventus. E non ci vuole una grande intelligenza calcistica per capire che il gap tra le due squadre non è stato diminuito dall'anno scorso, che di personalità si è parlato tanto e sperimentato poco, in questa stagione, che purtroppo non basta il coraggio e la voglia di Inzaghi quando davanti c'è la Juventus, e dietro una foresta fitta di errori, sviste, pericolanti tristezze. Sarebbe servita forse più intelligenza calcistica, forse, al di là dei modelli esteri che spesso si agitano, per fare alcune piccole modifiche, recepire alcuni insegnamenti, annusare un po' di sana mentalità: forse sarebbe stato intelligente ricordarselo ad inizio stagione. Alla fine, a stringere, ieri dispiaceva quasi per Inzaghi, perché avrebbe meritato una prima diversa, allo Juventus Stadium.
E qui non c'entra l'intelligenza, è quasi una questione di cuore, di ricordi, di un'altra Lazio che, anche grazie a Inzaghi, metteva sotto un'altra Juve, in un altro stadio, in altri tempi, che stupidamente ricordiamo, ancora, con un filo di voce. Aver paura di innamorarsi troppo di Inzaghi: è come un vero dolore, ripensarci ancora, a lui, in giacca e cravatta, a bordo campo, impotente.
Piccolo zoom sui comportamenti: Allegri dalla panchina perde il senno ad un tacco di Dybala, come se fosse una stagione disastrosa, e fosse imperdonabile la leggerezza. "Alla prossima lo faccio uscire", sibila, grida, si sbraccia. Forse ha qualcosa a che vedere con il dna vincente, piccola nota a margine per Keita, uno dei talenti più forti, e con più margine di crescita, che c'è in rosa. Contro l'Empoli il suo no-look ha mandato in visibilio i tifosi da social. Allegri lo avrebbe sostituito. Ma badare alle piccole crepe, di fronte all'abisso, è quasi un esercizio di stile. Non molto intelligente, questo è certo.