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Laziomania: al Dio di questo calcio, non credere mai
Lo dico: tutto questo mi ha messo in difficoltà, mi ha fatto male. Sia chiaro, non metto tutto sullo stesso piano, nella mia testa ho altrettanto ben chiara quale sia la classifica della gravità, quale siano le cose più lesive, ma mi chiedo d'altra parte se questo può combaciare, convivere con i miei ricordi d'infanzia legati alla Lazio, il fluire di vita e calcio, che spesso si intrecciano. Anzi, dico di più: spesso il calcio ha condizionato la vita, l'ha piegata, ha fatto quel che voleva. E la vita l'ha lasciato fare, soggiogata da quel torrente di passioni, ricordi, sperenze, che solo quel pallone sa far esplodere. Era molto più ubriaco di lei, ma lei ha capito: passerà anche questa stazione, senza far male.
Lo dico ancora: questa non è stata una bella settimana, perché tutte queste cose mi hanno fatto riflettere a lungo su quanto possa anche essere inquinante, il calcio, quanto possa essere inquinato. Dai suoi stessi poteri, dai suoi stessi attori, dalle sue stesse logiche. Qualche svogliata carezza, il telefono che squilla, il calciomercato, la radio che grida: "Meglio che fare il giornalista / E pensare sia un lavoro scrivere su Rolling Stone", e nel frattempo è pure il giorno di De André. Io me lo chiedo ancora: che calcio consegnerò a mio figlio? Che tipo di convincimenti, speranze, credenze? L'illusione di questo calcio fragile può forse sopravvivere, nonostante un giorno lungo, e senza parole. In un solo modo, certo. Ma visto che è il giorno di De André, mi va di citarlo ancora indegnamente: "pensavo che è bello che dove finiscono le mie dita", mio figlio vedrà indicata una partita.