AFP via Getty Images
Laziomania: 20 anni dopo agli ottavi di Champions, perdendo 20 anni di vita
NOTTE DA SMART WORKING - Nonostante la voglia e l'angoscia, ho passato Lazio-Brugge come gli ultimi 9 mesi, in un lungo e angoscioso smart working. Primo tempo stretto tra gol, espulsioni, biberon alla neonata e figlio di 2 anni sulle spalle a fare improbabili prove di volo tra divano e il mio PC, ansiosamente aperto ad annotare. Dopo 20 anni, ho un po' di capelli bianchi (mia madre direbbe che li avevo anche allora, sempre avuti, forse nel goffo tentativo di non farmi accorgere del tempo che passa), e una specie di premonizione. Penso che tra chi é appassionato di Lazio ci sia una specie di cervello centrale, che ci collega e ha da tempo lanciato il suo inequivocabile segnale. Una specie di segno premonitore, che non fa che ripetere che ci sarà da soffrire, as usual. Eppure si mette bene: la bimba mangia quasi tutto, il primogenito non si è ancora rotto niente e la Lazio é sopra, grazie a Correa (sempre più in formato Champions, sempre meglio in Europa). Ciliegina sulla torta: é perfino sopra lo Zenit, che in un sussulto d'orgoglio sembra volersi riscattare dopo schiaffoni presi a destra e manca. Tutto sembra andare bene, ma dal cervellone centrale che contiene tutte le nostre memorie storiche l'avvertimento é sempre lo stesso. Lo urla anche Inzaghi: rimanete in partita.
UN ISTANTE LUNGO 20 ANNI - La Lazio ha la palla per chiuderla, con Immobile. Forse è qui lo spartiacque della gara, o forse i 3 cambi Inzaghiani (conservativi) depauperano troppo la Lazio in termini di qualità. Potrebbe mandare tutto questo retropensiero, queste scaramanzie in soffitta, a farsi benedire, ma sparacchia alto prima di uscire incredulo con un rosario di rimpianti. Qualcosa nelle ossa mi dice che non finirà bene, una specie di rintocco negativo. Forse comincia da qui: pareggia il Brugge, e l'istinto animale mi tende i muscoli (20 anni fa facevo pallanuoto, fa quasi pena chiamarli ancora con questo nome), pronto alla fuga. La Lazio sembra in controllo ma sopra, intorno, tra le gocce di pioggia gelida che ha funestato questo lungo ponte romano e i vagiti di mia figlia si sviluppa una specie di attesa. Qualcosa di simile al predatore in arrivo. Tutti aspettano quell'attimo in cui il fato concretizzerà tutta la sua maledizione, un colpo ben assestato di pungiglione. Che ha il volto pulito di un ragazzino molto bravo, talentuoso, dinoccolato, dal nome difficile da scrivere. Mignolet sale per uno degli ultimi respiri del match, l'azione é convulsa, pallone respinto ma é ancora loro, crossaccio da destra, una serie di lisci, respinte. Ecco, tutto si ferma: la bimba rimane immobile, pur in pianto, il primogenito non plana, il PC fa blink, si spegne lo schermo, si spegne la luce. Anni di Europa League, tutto il peso di mesi di smart working, tutta la malevolenza del 2020 e gli agguati della storia si materializzano, danzano su quel pallone che dal sinistro di un belga corre verso la porta.
UN SECONDO DA 20 ANNI - Un secondo lungo 20 anni, dalle mani delle prime cotte (ai tempi dei miei 14 anni non si conoscevano già i nomi di tutte le pasticche), fino ai figli, le ansie, il futuro che é qui, non é più una specie di orizzonte indefinito e lontano. Tutto congelato, mentre quel pallone avanza tra l'aorta e il resto del sangue, un battito saltato sulla traversa come un flipper: poi va via, lontano, la bimba riprende a frignare, il primogenito ricade pesante, la partita vive altri minuti ma erano tutto lì, questi ultimi 20 anni, in un solo battito mancato. Il triplice fischio non mi libera da quel tiro, l'ho pensato a lungo nella notte, felice. Dove ero 20 anni fa, dove ero in mezzo a quel tiro, cosa ci fa dentro il calcio, come ci cambia, come è cambiato Inzaghi, tutto in una sola notte: la Lazio é agli ottavi di finale di Champions League. Avevo 13 anni, facevo pallanuoto, ma le ragazze non mi guardavano ma avevamo appena vinto lo Scudetto. Un tiro mi ha rispedito a 20 anni fa, in un secondo. Quando sono tornato, eravamo già al turno successivo.