Zarate: 'Nazionale? Niente Italia, voglio solo l'Argentina'
Sette mesi malinconici, trascorsi a cercare se stesso in un vortice di pressioni ed aspettative disattese. Una crisi profonda che ha rimesso in discussione le prodezze del suo primo anno nella Capitale.Mauro Zàrate, da fenomeno emergente a rischio bluff. Non per i tifosi che non hanno mai smesso di inneggiare al suo nome, anche nei momenti più tenebrosi. Un affetto senza condizionali, premiato dall’abbraccio andato in scena domenica scorsa al Bentegodi, dove è tornato a graffiare come ai vecchi tempi. Scatto, girata, il ritrovato mix di istinto e talento e quella esplosione di gioia commossa sfogata sotto il settore dei circa 200 sostenitori biancocelesti al seguito: “Per dire che è la fine di un incubo dobbiamo ancora aspettare – ha spiegato lo stesso numero 10 in conferenza stampa - . Per il momento sono contento del gol. Mancava da tanto tempo, è servito a me ed alla squadra per portare a casa tre punti in un campo non facile. Ho fatto un primo anno buono, male nel secondo, per il terzo dobbiamo aspettare quello che accadrà. Ma ora inizio a divertirmi, ho tanta voglia di far vedere che sono sempre quello del primo anno, che sono sempre Zàrate”.
A Verona si è lasciato andare ad un’esultanza incredula e liberatoria, figlia di un bagno d’umiltà che ne ha accelerato il processo di maturazione. Un pianto liberatorio sulle spalle di Floccari che ha segnato il passo: quelle esultanze un po’ spavalde di una volta sono lontane. Due anni fa, dopo aver pennellato un calcio di punizione contro il Bologna, mostrò (simbolicamente) attributi e tatuaggio sotto la Curva Tevere; per non parlare del gesto polemico verso la Nord in occasione dell’1-2 al Milan. Deve ancora ritrovare la parte sana di quella convinzione nei propri mezzi,ma ora è tornato, forse un po’ cambiato. Anche se non vuole ammetterlo: “Non penso di essere cambiato nel mio modo di giocare. Prima dicevano che non passavo la palla, ma lo dicono anche ora. Malgrado la scorsa stagione non sia andata bene, io mi sento lo stesso dell’inizio, la stessa persona, cerco di fare sempre le stesse cose. Forse quando devo fare un dribbling ci penso un po’ di più, ma è una questione di fiducia. Il primo anno ogni volta che puntavo l’uomo lo saltavo, poi certe cose non mi sono più riuscite, ho segnato poco, perdevo spesso il pallone e questo non mi ha aiutato psicologicamente. Adesso mi sento bene, ho fatto una buona preparazione e sono fiducioso. Non credo sia stato un problema di troppa pressione esterna, più di quella che mi metto io da solo non può mettermela nessuno. Né la stampa, né nessun altro mi mette in difficoltà”.
Fondamentale per la sua rinascita anche la gestione di Reja: padre severo nella scorsa stagione, quando gli ha fatto capire che la Lazio poteva viaggiare spedita anche senza i suoi personalismi; docente esigente in estate quanto ha gettato le fondamenta del suo rilancio con un indottrinamento meticoloso e paziente; fine psicologo nel primo scorcio ufficiale di stagione, quando ha evitato di esporlo alla luce delle pressioni e delle responsabilità, per poi decidere di innescarlo nel momento più propizio: “Non penso che tecnico e compagni debbano aiutarmi – ha sottolineato Maurito - . Sono io che devo aiutare la squadra, tutti devono farlo, mettendosi al servizio del gruppo. Non ho mai avuto rapporti difficili con i miei compagni, non ho avuto mai problemi da nessuna parte. Penso che qui ci sia un gruppo normale, nessuno cerca di fare il fenomeno”.
Il resto l’ha fatto lui che, grazie ad una ritrovata serenità, accompagnata da un’ottima condizione atletica, si è scrollato dalle spalle quei fantasmi che la scorsa stagione ne hanno franato la crescita. Momenti difficili non l’hanno mai portato a prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di lasciare la Lazio: “Dopo l’anno che ho passato era difficile partire ed è anche difficile che la Lazio mi potesse vendere. Se vado via da qui è perché la società deciderà di vendermi per un’offerta importante”. Per il momento non l’ha fatto, ha deciso di continuare a puntare sulla sua qualità per raggiungere posizioni importanti: “Non Penso che questa squadra deve fissare degli obiettivi, dobbiamo giocare partita dopo partita. Ora arriva il Brescia all’Olimpico, è importante giocare bene e vincere la partita. I tre punti sono importanti, in casa non dobbiamo perderli. Se siamo alla stregua delle grandi? Solo il campo può dirlo, dobbiamo dimostrarlo quando giochiamo contro di loro, vincendo e giocando bene. Una cosa è certa, possiamo giocarcela alla pari con tutti”.
Si è discusso molto della sua posizione in campo, ma per Maurito non sembra rappresentare un problema: “Dipende con quale giocatore gioco, voi lo sapete, posso fare la prima punta, la seconda, l’esterno, fisicamente ce la faccio, posso giocare in tutti i ruoli”.
L’ultima battuta è sulla Nazionale. Quella argentina continua a trascurarlo, ma lui non ha fretta: “Penso che l’Italia abbia tanti attaccanti forti, a me piacerebbe giocare con la nazionale del mio paese”. Il sorriso è tornato, ma ora serve la conferma. Il suo talento innato non può accontentarsi di sprazzi di luce se può avere lampi accecanti.