Lazio: un vuoto Olimpico
Domenica mattina a Formello, ad assistere al derby del campionato Primavera, c’erano circa quattromila persone. Poche ore più tardi, allo stadio Olimpico per Lazio-Atalanta, appena il doppio. In questo modo, disertando la partita, il pubblico biancoceleste ha voluto manifestare – ancora una volta – il proprio dissenso (malgrado qualche mano dalla non completa familiarità con la lingua italiana abbia scritto «dissenzo» su uno striscione, poi coperto con una sciarpa) nei confronti della gestione del presidente della società, Claudio Lotito. Nelle settimane scorse, tra i dieci e quindicimila spettatori hanno potuto assistere a Roma-Sampdoria e a Roma-Inter, sempre di campionato: un’affluenza da serie B dovuta alla chiusura delle due curve dell’Olimpico (e dei Distinti sud contro i nerazzurri), squalificate per i cori di discriminazione territoriale scanditi dal pubblico giallorosso («Vesuvio lavali col fuoco», rivolto ai tifosi del Napoli) nelle gare precedenti.
Tra due mesi, il 12 maggio, la Lazio festeggerà i quaranta anni del suo primo scudetto: quella domenica pomeriggio, per la partita decisiva vinta contro il Foggia, lo stadio Olimpico fece registrare il record di presenze sugli spalti, mai superato negli anni successivi, nemmeno in occasione degli altri tre scudetti – due della Roma e un altro della Lazio – che abbiamo visto transitare nella nostra città. Un altro mondo, certo. Con esso – purtroppo e inevitabilmente – sono mutati anche il modo con cui il pubblico segue il calcio, la passione con cui lo vive e le forme con cui questa passione viene espressa. Un mondo che sembra essere cambiato in peggio, se l’Olimpico (ma l’osservazione vale per tutti gli stadi italiani, o quasi) è ridotto a una cattedrale in disarmo e nel deserto. Ma il vuoto irreale è solo l’ultima conseguenza di episodi specifici: da una parte, come spiega Il Corriere della Sera nell'ededizione romana, la «guerra fredda» tra la tifoseria laziale e il presidente Lotito, anche se resta problematico comprendere fino in fondo chi decide di non vedere giocare la propria squadra perché in contrasto con la politica gestionale del proprietario del club. Dall’altra, lo scellerato comportamento di chi ha insistito con quei cori infami, tanto da costringere la giustizia sportiva ad applicare una norma a sua volta insensata e inutile.
In realtà sappiamo bene come lo svuotamento abbia origini lontane. La violenza ultrà dentro e fuori gli impianti, la politicizzazione delle curve (con relativa deriva estremistica), le collusioni tra i club e i gruppi di tifosi più pericolosi, gli stadi (tutti gli stadi) sempre più inospitali e fatiscenti, il dominio non più arginabile della televisione, che offre partite tutti giorni e a qualsiasi ora, da gustare beatamente seduti nel salotto di casa o con gli amici al pub.
Per provare a tamponare l’emorragia – essendo infinitamente più difficile migliorare la testa delle persone – occorre allora ripensare il modello della propria casa. Ci auguriamo lo abbia fatto la Roma per il suo nuovo stadio, il cui progetto verrà forse presentato (finalmente) alla fine del mese. E speriamo lo farà pure la Lazio, un giorno o l’altro, con chiunque la guidi. Una casa più piccola, più accogliente, fruibile da tutti e senza rischi. Una casa che conosca tutti. Chi non accetta, o non rispetta, le sue regole, si accomoda fuori.