Lazio, Patric parla della depressione nel calcio: 'Io ho superato tutto, ma se ne parla meno di quanto si dovrebbe"
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"NON VEDEVO IL PALLONE" - Ogni caso però è diverso dagli altri. Lo ha sottolineato lo stesso Patric, convinto che di questo problema non si parli abbastanza e che questo non aiuti affatto chi si trova in difficoltà ad uscirne. Della sua esperienza ha ricordato alcuni momenti di particolare sofferenza al livello mentale: "Mi ricordo che c'erano tante partite in cui non vedevo nemmeno dove fosse il pallone. Ricordo una partita con il Sassuolo in casa e un'altra con il Bruges in Belgio, dove non vedevo il pallone e non stavo bene. Non capivo perché. Stoppavo la palla e la passavo al compagno più vicino in maniera meccanica. A volte sono stato troppo buono con me stesso e non dicevo di star male, per non deludere gli altri, ma non facevo affatto un favore a me stesso. Capitava che c'erano diversi infortunati e dovevo giocare io per forza e non potevo deludere i compagni. Era troppo facile rinunciare. In quello momento non stavo bene, ma affrontare quel momento mi ha fatto diventare quello che sono oggi. Non affrontare queste paure forse sembra la cosa più facile. Potevo rinunciare a giocare, ma non mi avrebbe reso così maturo. Alla fine ho superato tutto". Poi ha aggiunto: "La salute mentale è tutto. Sin da quando sono bambino penso che l’importante sia godersi la vita ed essere felice. Quando cresci ti rendi conto che la vita è piena di difficoltà e quando meno te lo aspetti queste arrivano".
PANICO - Patric ha raccontato che qualcuno in squadra sapeva del suo periodo difficile e di come il suo malessere si presentasse sotto forma di attacchi di panico: “Avevo accennato un po’ a qualche compagno questa cosa. Ogni tanto poi mi venivano gli attacchi di panico negli aerei quando viaggiavamo. A volte qualcuno rideva, ma io volevo fare il forte, ripetevo che non mi succedeva niente. Alla fine quello che ho passato è stata una cosa molto grave, ma si può dire che me la sia tenuta sempre per me. E questo è stato un errore, perché bisogna chiedere aiuto prima". Il momento in cui questa problematica ha cominciato a manifestarsi in maniera molto forte è stato subito dopo lo scoppio della pandemia da Covic-19. Rimanere chiuso in casa da solo è stato l'innesco del momento di crisi: "L’ultima cosa che volevo era giocare a pallone. Se non ti senti bene non puoi fare un lavoro come il nostro. Devi essere tranquillo e sereno con te stesso. Mi svegliavo la mattina senza la voglia di fare niente, avevo perso il senso di vivere. Mi chiedevo perché dovessi andare a lavorare. Sono sempre stato un po’ ipocondriaco. Il fatto di vedere in tv la gente che stava morendo per Covid e io stavo da solo, mi faceva fare mille domande e mi ha fatto andare in crisi”.