Lazio: le donne sfidano gli ultrà in curva
Secondo la legge della curva la ragazza con sguardo truce, jeans, T-shirt marchiata, coro pesante ha dignità da militanza. Quella che tira la maglia di Immobile nel nodo per scoprire la pancia, barcolla sui gradoni in cerca di una visuale da selfie e di pesante ha solo il mascara no. Sarebbe discriminazione anche questa, ma il concetto non è così lampante per l’intera società italiana figuriamoci dentro la trincea irriducibile che infatti si sente addirittura insultata dalla polemica e per protesta sciopera. I padroni delle prime dieci file arrivano volutamente in ritardo: quando la partita inizia stanno ancora a Ponte Milvio con le bandiere arrotolate e in loro assenza una coraggiosa si arrampica sulla balaustra vista sciarpata. Poi scende e resta lì, fiera, tra il pubblico che si assesta e occupa gli spazi lasciati momentaneamente vuoti.
Dietro le donne ci sono sempre state, a gruppetti, con i figli, con gli amici. Se ne fregano delle baruffe del «muretto» che funziona più o meno come quello di Alassio ma senza Miss. Si tratta di territorialità, di farsi vedere, di essere il gruppo che domina il luogo, di segnare uno spazio deputato e riservato a chi gestisce. Non solo i cori, anche diversi traffici. Dalla undicesima fila in poi il dibattito lascia il tempo che trova. La signora che porta la maglia numero uno con la scritta mamma sulla schiena non ha nulla da dire sul sessismo. Lei, come tante altre, vuole tifare e basta. Conosce tutti, sa bene cosa significa sussultare per una squadra e non si lascia insegnare come si segue la Lazio. Non sembra interessata ai posti a numero chiuso così come le giovanissime che si piazzano al centro, tutte eleganti. Una con l’abito nero e lo stivale basso, l’altra con il pantalone attillato e il top bianco. Srotolano la sciarpa direttamente dalla borsetta a tracolla, fumano coordinate con il battimano che parte spontaneo anche senza capi settore a comandarlo.
Gli Irriducibili in settimana hanno chiarito senza troppa coerenza «meglio soli che male accompagnati, decideremo noi quando e se entrare». Lo stadio non sembra in ansia, ma loro lo fanno all’inizio del secondo tempo calandosi ad occupare quelle prime file già piene: smottamento, arretramento. Uomini e donne si spostano risucchiati dal flusso, qualcuna decide di restare lì. Non proprio davanti, ma nella sporca decina che fa da confine tra chi ha il fisico da ultras e chi no. Ci vogliono quasi 20 minuti perché la Nord si riassesti, nel frattempo la Lazio segna, gli Irriducibili litigano fra loro per decidere se riprendere i cori oppure no. Una ragazza in equilibrio precario arretra ma con l’aria di chi non molla la posizione. Scaramucce, niente che turbi chi occupa comunque, solidamente e costantemente, quella curva.
Dentro Lazio-Frosinone non sono solo le donne a farsi i selfie, è pieno di tifosi appassionati che prima di urlare, sostenere, strepitare, perdere il controllo, gradiscono avere un ricordo della serata. Un minuto prima fanno le boccacce dentro i telefoni storti e quello dopo mandano violentemente a quel paese l’arbitro che cede al Var. Per gli Irriducibili e tutti i loro omologhi sono prototipi da Villa Borghese ovvero gente di cui lo stadio può fare a meno, ma lo stadio per fortuna resta popolato e animato da persone così. Senza sarebbe un posto truce.
A Siviglia, nell’ultima partita casalinga, hanno dedicato le prime dieci file alle donne. Applausi, foto, sorrisi. Iniziativa sostenuta dalla Biris Norte, ultras di estrema sinistra che così si oppongono ai laziali di destra, peccato che siano gli stessi che hanno sostenuto affiliati condannati per stupro. Le prime dieci file di quasi ogni stadio del mondo non sono così belle da frequentare. Non ancora.