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    Lazio, il pareggio è giusto e vale come una vittoria: Sarri ringrazi Provedel e il difensivismo di Simeone

    Lazio, il pareggio è giusto e vale come una vittoria: Sarri ringrazi Provedel e il difensivismo di Simeone

    • Giancarlo Padovan
      Giancarlo Padovan
    Provedel salva, Provedel trionfa. Il primo punto in Champions League della Lazio (1-1 con l’Atletico Madrid) è nel segno del portiere che, a venti minuti dalla fine, si esibisce in una parata strepitosa su Lino (conclusione da due passi a botta ultrasicura), mentre al quinto minuto di recupero (l’arbitro ne aveva concessi quattro, ma ha lasciato battere il claio d’angolo) segna di testa su assist di Luis Alberto. E, a questo punto, va spiegato che l’azione si è sviluppata dopo l’azione d’angolo, quando la palla era stata ormai messa fuori dall’area.

    Provedel, spinto dall’intuito, non solo ha aspettato il suggerimento di Luis Alberto, ma ha attaccato la profondità come un vero bomber per depositare di testa, e nel tripudio generale, la palla alle spalle di Oblak. Premesso che il pareggio è giusto (la Lazio era andata sotto al 29’ del primo tempo causa un autogol di Kamada su tiro di Barrios), vanno recuperati i dettagli dell’ultimo minuto e mezzo. Questa volta, per una volta, Sarri non avrà da lamentarsi dell’arbitro, lo sloveno Vincic. Accade, infatti, che a recupero ormai completato (mancavano trenta secondi), Correa, subentrato a Witsel, venga visibilmentge strattonato da Marusic, senza che l’arbitro intervenga. L’argentino, spazientito, lo manda a quel paese e Vincic non solo gli fischia punizione contro, ma lo ammonisce pure, il che determinerà l’allungamento della partita di altri trenta secondi, quelli utili per raccattare un calcio d’angolo, la sua esecuizione e, qualche secondo dopo, il cross di Luis Alberto per Provedel. Dettagli, naturalmente, ma di grande importanza.

    Se la Lazio avesse perso qualcuno (non io) avrebbe avuto la tentazione di celebrare non tanto il calcio di Simeone, quanto il pragmatismo di una partita affrontata con tre difensori, cinque centrocampisti e due punte, ma finita con cinque difensori, quattro centrocampisti e una punta. Ora non è vero che l’Atletico è stato solo difesa e contropiede, perché sa palleggiare bene con tutti gli uomini in campo, i difensori buttano via la palla solo quando sono costretti, le ripartenze non sono occasionali, ma ben organizzate. Tuttavia Simeone, nonostante un palo esterno di Morata, deviato (anche questo!) da Romagnoli, ha pensato male che gli bastasse il soave palleggio e la sontuosa prestazione di Griezmann, autentico uomo ovunque (soprattutto a centrocampo e poi in difesa), per portare a casa il più micragnoso dei risultati. Avesse provato a vincerla, invece, magari affondando di più con Riquelme (entrato per Lino) o con Llorente, una mezzala d’assalto, probabilmente l’Atletico oggi sarebbe in testa con tre punti. Invece, la costante inclinazione ad avere almeno otto uomini sotto palla, la disinvoltura nelle uscite, senza, però, poi finalizzare, hanno finito per tenere la Lazio in vita fino all’ultimo secondo (e anche oltre).

    La beffa atroce, sempre per Simeone, è che il portiere avversario - cioé il difensore per antonomasia - sia andato a fargli gol nell’area della sua squadra. Non Ciro Immobile, ma Provedel, l’uomo in più che, dopo il colpo di testa vincente, era pieno deliquio per l’adrenalina che gli stava inondano il cervello. Un gol che non dimenticherà mai e che gli farà passare una notte felicemente in bianco. Ho detto che la Lazio meritava il pareggio e lo confermo, al di là e al di sopra, delle circostanze che lo hanno generato. Immobile si è mangiato un gol ad inizio ripresa, tirando addosso a Oblak che aveva sbagliato il rinvio, Zaccagni si era inventato un tiro cross sventato dal portiere dell’Atletico, Cataldi (subentrato a Vecino) aveva azzeccato il tiro del pari se Oblak non fosse volato, a pelo d’erba, a deviare in angolo. Insomma, l’1-1 ci stava e c’è stato. Così, poi, è stato quasi come vincere.

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