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Lazio, chi è Alexsander: il campione di futsal diventato calciatore grazie alla pandemia
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L'IDENTIKIT - Alexsander Cristhian Gomes da Costa nasce nel 2003 nella zona nord di Rio. Mediano, centrocampista centrale ma anche terzino sinistro all'occorrenza, è uno dei talenti più brillanti del calcio brasiliano. Ha un contratto in scadenza nel 2026. Alto 178 cm, unisce fisicità a ottima tecnica di base: è bravo nel controllo palla e molto dinamico e duttile, vista la sua abilità non solo in mediana ma anche in fascia. Inizia la carriera nel futsal Mackenzie all'età di otto anni e in un torneo comunitario gioca contro il Fluminense, stregando i dirigenti presenti alla gara. A 10 anni è già al Flu dove completa il passaggio dal futsal al calcio ma viene rilasciato dalla squadra U13 per difficoltà di adattamento. Passa quindi un provino col Vasco da Gama ma anche qui resta solo una settimana, prima di passare al Madureira. Il richiamo del Flu però è troppo forte e Alexsander torna per rigiocare a futsal nell'Under 15. Nel 2018 passa di nuovo al calcio e pian piano si afferma come la stella della squadra Under 17 che vince il campionato del 2020. La nuova fama lo porta a firmare il suo primo contratto professionistico con il Fluminense con annessa maxi clausola rescissoria per blindarlo.
PRO - Da lì la scalata. Alexsander diventa un perno di una delle squadre giovanili più forti del Paese, suscitando l'interesse della galassia City che prova a strapparlo al club, così come aveva fatto per Kayky e Metinho. Vince il campionato Carioca Under 20 e si guadagna la chiamata di Fernando Diniz per la prima squadra. L'ormai ex ct del Brasile - appena esonerato dopo sei mesi in carica - lo prende sotto la sua ala e gli concede sempre più spazio tra i grandi. Il mancino scala le gerarchie ma a frenarlo sono gli infortuni: uno al ginocchio sinistro lo mette ko per un mese, ma a giugno patisce un nuovo stop alla coscia destra. Torna in campo 3 mesi dopo, ad agosto. Dopo un periodo difficile, in cui aveva anche perso il posto da titolare, ritorna alla grande ed è tra i protagonisti della vittoria del Flu in Copa Libertadores, a sugellare un'annata da 35 presenze complessive, compresa la sfida al City nel Mondiale per Club. A dicembre è stato citato dal CIES come uno dei giocatori U21 più promettenti al mondo, piazzandosi al sesto posto dietro calciatori già affermati come Gavi. Convocato con costanza dalle nazionali giovanili brasiliane, ha giocato tra le altre anche con l'Under 23 di Menezes ed è uno dei capisaldi del Brasile olimpico che andrà alla ricerca della medaglia d'oro a Parigi.
MERCATO - Alexsander è stato spesso paragonato fin dalla sua adolescenza a Marcelo, il giocatore che lui stesso ha da sempre idolatrato. "Marcelo è il mio riferimento, la mia ispirazione, anche lui ha lasciato il futsal per il campo e per conquistare il mondo. Lui è sempre stato il mio idolo, il giocatore che avrei voluto essere da grande", ha detto del suo compagno di squadra al Flu. Il suo talento ha attirato le attenzioni di squadre da mezzo mondo. La Lazio infatti dovrà superare la concorrenza di Galatasaray e Benfica, le ultime a iscriversi alla lista delle pretendenti al mancino del 2003.
IL RACCONTO - Come molti suoi connazionali e coetanei, Alexsander ha vissuto un'infanzia difficile tra calcio e povertà. Ne ha parlato lui stesso a “The Players Tribune”, fornendo uno spaccato di com'è la vita nella comunità di Primavera, barrio di Cavalcante, nord di Rio de Janeiro. "Poteva succedere qualsiasi cosa. Un'operazione della polizia, uno scontro a fuoco, un proiettile vagante... quelle cose che mostrano continuamente in TV. All’inizio, andare ad allenarmi non è mai stato semplice per me. Ho perso molti allenamenti nei giorni in cui uscire di casa era troppo rischioso. Fuori splendeva il sole, morivo dalla voglia di giocare, ma mi chiudevo a in casa e sentivo i rumori, le urla, i pianti. Le cose poi divennero più “normali” e ho potuto iniziare ad allenarmi con costanza: immaginate un ragazzino di 12 anni che va a scuola a Cascadura alle 6 del mattino, da lì agli allenamenti sul campo a Xerém nel pomeriggio, poi subito al futsal a Laranjeiras in notturna e ritorno a Cavalcanti solo dopo la mezzanotte. Tutti in autobus, da soli e senza cellulare. Quelli per mia madre erano giorni d'angoscia. Ogni notte mi aspettava giù sulla collina per poter tornare a casa insieme. E ogni notte, appena mi vedeva, correva a darmi un abbraccio di sollievo. E io mi chiedevo: 'è rimasta tutto il giorno con questa angoscia? Dovrò fare in modo che ne valga la pena. Penso che sia così che sono diventato un giocatore di calcio".
DAL FUTSAL AL CALCIO - "Mi sono adattato rapidamente al campo. E sono sport molto diversi l'uno dall'altro. Ho passato un brutto momento quando sono stato per la prima volta nella lista dei tagliati del Fluminense. Il terrore di ogni giovane giocatore, di qualsiasi club, è trovarsi in quella lista. Lì c'erano ragazzi che giocavano anche più di me. La sensazione è terribile. C'erano giorni in cui da dentro il campo mi guardavo intorno e vedevo gruppi di ragazzi seduti sul muretto in attesa di fare un provino ed eventualmente prendere il mio posto. La caduta è stata inevitabile: sono stato tagliato dall'Under 14 del Fluminense e in casa si è posata una nube pesante. Ero triste nel vedere il mio sogno andare in malora. Sembrava un viaggio di sola andata fino al fondo del pozzo. Ho fatto un test al Vasco. L'ho fatto e ho fallito. Poi a Madureira. Passai e rimasi lì per un anno, giocando poco. È stato un sollievo sapere che non tutto era perduto. Ma ogni sera, quando ci ritrovavamo ai piedi della collina per tornare a casa, la prima cosa che dicevo appena riuscivo a liberarmi dal suo abbraccio era: 'Mamma, non so come, ma voglio tornare al Fluminense'. C'era solo un modo. Ricominciare tutto da capo, con il futsal. I ragazzi del futsal mi hanno accolto, ho fatto bene, ho fatto il passaggio in campo e… sono finito nuovamente nella lista dei papabili al taglio. Ma poi il mondo si è fermato. La pandemia ha bloccato tutto. Con gli allenamenti e le lezioni scolastiche sospese, mi sono allenato tramite Zoom e ho giocato con i miei amici sul campo sterrato in collina. Quelle partitelle mi hanno cambiato. Mi hanno costretto ad essere più leggero, a far andare la palla più velocemente, a pensare più velocemente. Quando abbiamo ripreso gli allenamenti in presenza, mi sono sorpreso. Stavo giocando in modo più rilassato, più fluido. Se ne sono accorti anche i miei allenatori. Hanno tenuto una riunione e hanno deciso di togliermi dalla fascia sinistra e di mettermi a centrocampo. Da lì in poi tutto andò bene", ha scritto.