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    La vittoria degli 'uomini di Mourinho': non è un mago, ma in Europa sa come si fa

    La vittoria degli 'uomini di Mourinho': non è un mago, ma in Europa sa come si fa

    • Giancarlo Padovan
      Giancarlo Padovan
    Tattico o stratega che sia, ancora una volta ha vinto José Mourinho. Certo, con Dybala, non a caso personalmente voluto dall’allenatore, che ha strappato la Roma dall’eliminazione pressochè certa all’89’ e l’ha lanciata verso il 4-1 dei supplementari, che determina la semifinale di Europa League contro il Bayer Leverkusen. Dybala, dunque, ma non solo. Spinazzola, che ha segnato il primo gol, quello dell’illusione. E poi El Shaarawy (sostituto di Wijnaldum quasi subito infortunato), infine capitan Pellegrini, quello che si era sorbito gli insulti dai romanisti fegatosi per il rigore sbagliato a Rotterdam e che ieri sera ha messo il sigillo alla rimonta. Citare i marcatori è un dovere della cronaca e un imperativo della differenza.

    Tuttavia, non solo loro hanno illuminato la notte dell’Olimpico. L’ha fatto Abraham (sostituito di Belotti) prima con l’assist ad El Shaarawy e poi con un tiro che, respinto dal portiere del Feyenoord, è capitato sui piedi di Pellegrini che lo ha messo in porta. E poi un immenso Matic, capace di calamitare ogni pallone avversario, di strapparlo, di rigiocarlo nello spazio con sapienza, di guidarlo con intelligenza. Sono tutti uomini di Mourinho. Compreso Mancini, autore di una partita camaleontica. Compreso Cristante, inesuaribile e sovrabbondante. Compreso Smalling, naturalmente. Uscito lui, per un problema muscolare, il Feyenoord ha pareggiato grazie al neo entrato Paixao. Mancavano dieci minuti al novantesimo e per la Roma sembrava la fine. Invece, con lucidità e pazienza, Mourinho continuava a predicare di fare bene l’ultimo passaggio, di insistere su ogni pallone perché gli olandesi si facevano attaccare dentro l’area, di cercare Dybala e Abraham, i due più freschi della compagnia, anche se in non buone condizioni fisiche.

    L’argentino è stato ammirevole perché, oltre ad avere realizzato un gol capolavoro (assist di Pellegrini) che ha riacceso gli animi e la speranza, ha giocato praticamente con una gamba sola, la sinistra, per il riacutizzarsi del guaio muscolare che lo aveva escluso, dopo venti minuti, a Rotterdam. Stoico e geniale è entrato anche nel terzo gol (colpo di testa a Pellegrini) e nel quarto (assist ad Abraham). Sui meriti della Roma mi ero sbilanciato già alla fine della gara di andata. Il turno avrebbe dovuto passarlo in trasferta e completare l’opera all’Olimpico. Invece, anche questa volta, ci si sono messi di mezzo i pali (altri due e sempre di Pellegrini e Ibanez) e gli infortuni. Fuori Wijnaldum quasi subito, Smalling quasi alla fine, con Dybala ed Abraham seduti in panchina per i malanni procuratisi in Olanda. Ci voleva calma e Mourinnho l’ha avuta. Non si può dire lo stesso del suo secondo, Foti, ancora una volta espulso e, in questa occasione, per un paio di smanacciate a Gimenez nel tentatrivo di recuperare un pallone finito in fallo laterale. Cose da dilettante, per non dir di peggio. Fossi nella dirigenza romanista multerei Foti e gli chiederei di essere, casomai, il contrappeso di Mourinho e non l’incendiario di scorta. In questo modo, soprattutto in Europa, si rischia di perdere sia la faccia, sia la partita. Non che gli olandesi fossero dei santi (Gimenez, per la legge del contrappasso, è stato espulso, con il Var, per un brutto fallo ai danni di Mancini alla conclusione del tempo supplementare), ma la Roma doveva rimontare e non aveva senso né attacar briga (si finisce solo per perdere tempo), né protestare (quando serve, e anche quando non serve, c’è già Mourinho che lo fa).

    Roma più squadra a partire dal portiere, Rui Patricio, che ha parato bene e tanto nel primo tempo e sullo 0-0. A volte del portoghese ci si accorge per qualche leggerezza, ma ieri sera è stato più disinvolto e più utile che mai. Dove può arrivare questa Roma? Nonostante Xabi Alonso, ottimo allenatore del Bayer, l’obiettivo finale va coltivato con cura. Prima, recuperando del tutto gli infortunati. Poi, mettendosi sotto il mantello di Mourinho. Non è un mago, ma sa come si fa in Europa. Non è un caso che tutte le coppe dell’Uefa lui le abbia vinte. E non certo con una squadra sola.

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