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  • La tivù-verità di Caressa

    La tivù-verità di Caressa

    Quando nei suoi deliziosi racconti scopriva qualche paradossale, piccola lezione di vita, Giovanni Guareschi scriveva sempre “Il che è bello e istruttivo”. È stato bello e istruttivo perdersi la prima mezz’oretta di Germania-Olanda, l’altra sera, per vedersi sulla 7 Otto e mezzo dedicato alla crisi del calcio. Ospiti di Lilli Gruber, due autori di libri (secondo la ben nota filosofia della marketta, per cui metà degli invitati a trasmissioni tv ha in promozione un libro, un disco o un film), ovvero l’economista Tito Boeri e Fabio Caressa, ben noto su questi schermi. Il primo ha fatto un’analisi rigorosa e al contempo catastrofica del sistema-pallone italiano, il secondo ha raccontato la favola e la magia di questo sport al figlio. Ma il bello e l’istruttivo è stato scoprire un’inversione di ruoli dei due ospiti. L’economista Boeri, uno teoricamente legato ai numeri aridi, alla freddezza della logica, sognava uno sport diverso, arrivando a sperare una qualche forma di co-gestione da parte dei tifosi che rendesse meno decisivi i soldi delle tv. Il giornalista Caressa, uno che predica spettacolo, gioco, fantasia, era quello più realista del re, che — per ovvi motivi di azienda — negava che i soldi di Sky al calcio fossero così importanti da falsare la competizione della serie A.

    Ma soprattutto bello e istruttivo è stato questo passaggio di Caressa, che trascriviamo testuale perché ce lo siamo voluti risentire su Internet: «In questo momento il potere mediatico è la possibilità per tutti di vedere le partite, dà la possibilità al calcio di essere conosciuto di più, dà una possibilità in più al calcio. Il fatto che tutte le partite siano trasmesse in televisione è un deterrente: la possibilità di influire in maniera inadeguata sul risultato è inferiore, tant’è vero che molte delle cose che sono capitate in quest’ultimo periodo sono capitate in campionati dove l’attenzione delle televisioni era minore. Su una partita che vedono 2-3 milioni di persone o sei un fenomeno o è molto difficile non andare nella giusta direzione». Insomma, la tv come garanzia di correttezza, se tutto è visibile niente è taroccabile.
    Ora, noi capiamo tutto, siamo uomini di mondo e sappiamo bene che chiunque lavori per un’azienda ha il dovere di non criticarla in pubblico e anzi difenderla. Ma un conto è difenderla, un conto è lodarla in questo modo insensato.
    Vogliamo restare all’ultimo scandalo, quello delle scommesse? Allora, vi ricordate alti lai e scandalizzate parole di Sky quando Masiello fece autorete (e grottesca) contro il Lecce? O quando Lecce-Lazio e Lazio-Genoa finirono 4-2 per i romani? O quando in serie B l’Atalanta ne fece tre al Piacenza? Tutte partite abbondantemente inquadrate da Sky, viste se non da milioni di persone da decine, centinaia di migliaia. Avremo cattiva memoria, ma noi non ricordiamo una sola protesta, un solo dubbio dei telecronisti di Sky. Così come, sia chiaro, degli spettatori negli stadi o davanti alle tv, dei giornalisti, di chiunque. Neppure il ridicolo autogol di Masiello aveva suscitato sospetti. Perché era talmente sgraziato, talmente assurdo, che sembrava vero, cioè colposo o preterintenzionale e non doloso per dirla in linguaggio giuridico. E questo per un ottimo motivo, che sfugge totalmente all’ottimo Caressa: chiunque abbia giocato anche solo a livelli amatoriali nel calcio sa benissimo che qualsiasi partita, se si ha un minimo di intelligenza, può essere taroccata e fatta andare come si vuole senza che se ne accorga chi è al di fuori di questo patto. Né l’arbitro, né gli altri giocatori, né i dirigenti, i giornalisti, i tifosi.
    L’errore nel ragionamento di Caressa, ma un errore bello e istruttivo, perché appunto spiega bene un modo di pensare diffuso non solo nel calcio, è che la tv mostri la verità. Anzi, diciamola meglio, che quello che viene mostrato dalla tv sia la verità. Il delirio di onnipotenza della tv che forma (deforma, conforma, trasforma, raramente informa) le menti e che crede di essere necessaria e sufficiente a se stessa e al mondo, metro di misura e di paragone di tutto. Invece la tv non è la verità (la verità è che non abbiamo mai verità, cantava Ruggeri, che poi è andato a fare tv), né la mostra. Basta pensare alla marea di reality uno più falso dell’altro, alle trasmissioni dove a raccontare esperienze di vita vissuta sono attori e non i protagonisti, ai tg che nascondono le notizie montando parole e immagini in modo truffaldino o parlandoti del boom dei cappottini per i cani invece che della disoccupazione che cresce, alle interviste in ginocchio, ai videomessaggi dei politici con la calza davanti all’obiettivo. Perché dovrebbero essere vere le partite di calcio? Le telecamere mostrano quello che succede, siamo d’accordo, se sei allo stadio e poi ti guardi la partita registrata vedi la stessa partita, anche se in modo diverso. Ma è sufficiente? La tv mostra l’apparenza delle cose, non la sostanza. Non a caso i latini per dire “sembra” dicevano “videtur”, cioè è visto, si vede. Mentre “essere” in latino è “esse”. Una distinzione non solo bella, ma anche istruttiva.


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