1920, quando i club italiani più ricchi scaricarono quelli più poveri e nacquero due campionati
TUTTI VOGLIONO VIAGGIARE IN PRIMA - Con la fine della prima Guerra mondiale e il ritorno al gioco del calcio, aveva ripreso vigore anche il contrasto tra le grandi e le piccole società, contrasto che interessava sempre la solita annosa questione relativa alla partecipazione – e quindi alla visibilità e agli incassi – al massimo campionato. Le grandi società chiedevano una più ristretta partecipazione di squadre al campionato, giustificando tale richiesta con un presunto miglioramento del livello di gioco che tale restrizione avrebbe necessariamente portato. Le altre, invece, erano convinte che una maggiore rappresentanza di compagini avrebbe allargato il discorso propagandistico del calcio appena ripreso dopo la guerra. La verità, con tutta probabilità, era quella molto bene sintetizzata dal Ghirelli: “Per le società minori l'esclusione dal massimo campionato equivaleva ad un colpo mortale per le incerte finanze”. Tutto gira attorno ai soldi. Se oggi il “malloppo” è quello dei diritti TV e delle super sfide della Superleague, 100 anni fa ciò che faceva gola erano gli incassi da botteghino. Il meccanismo è però il medesimo. Le squadre ricche volevano giocare tra di loro per massimizzare i profitti attirando più pubblico, ma al contrario, le “piccole” non volevano rinunciare agli incassi dei match contro le “big” che spesso servivano loro per sanare il bilancio di un'intera annata. Insomma, cento anni dopo, niente di nuovo sotto il sole.
LA GUERRA DI SECESSIONE NEL CALCIO ITALIANO - Già nel 1920 si arrivò vicino ad una spaccatura che solo all'ultimo momento venne scongiurata. Nell'assemblea federale del 4 luglio 1920 le società minori votarono Milano quale sede federale e dichiararono di non voler onorare l'accordo preso l'anno precedente secondo il quale si sarebbe proceduto dal campionato 1920/21 alla riduzione delle partecipanti. Detta linea venne approvata, ma incontrò la netta opposizione di 47 club che, guidati dalle ricche società piemontesi e liguri, se ne andarono fuori dalla FIGC e fondarono una loro associazione, la Lega Italiana del Giuoco del Calcio, la cui presidenza venne affidata all'Avv. Luigi Bozino.
Come detto la crisi venne ricomposta con “l'armistizio” del 2 ottobre, ma venne creato un campionato abnorme al quale parteciparono ben 88 squadre: iniziato il 18 settembre con le qualificazioni, vide il termine soltanto il 24 luglio 1921, dopo ben oltre dieci mesi di gare, spesso noiose e dal livello tecnico scadente. Chiaro che così non si poteva continuare, perciò le grandi squadre del Nord affidarono il mandato a Vittorio Pozzo di preparare un progetto di riforma del campionato. Pozzo, che già nel 1912 una riforma l'aveva studiata e proposta, ci mise poco a mettere sul tavolo un progetto davvero avveniristico e riformatore, progetto che però si andò a scontrare con il malcontento delle piccole società e all'assemblea del 21 luglio 1921 detto progetto venne bocciato. Perché se era vero che tutti condividevano la parte del progetto che assicurava la speditezza della competizione, il dissenso – insanabile per come si erano messe le cose – nasceva attorno ai criteri di ammissione, rivoluzionari per l'epoca, che sembravano favorire i grandi club: infatti i criteri di ammissione proposti da Pozzo prevedevano il valore tecnico del momento, l'anzianità e la saldezza finanziaria. Insomma, un bel salto nel futuro. Se non proprio da Superleague sicuramente da calcio proiettato nel professionismo. Come si legge dai verbali “L'assemblea, sentite le varie discussioni, respinge il progetto Pozzo”. Come effetto immediato della bocciatura del progetto Pozzo, i rappresentanti delle maggiori società lasciarono l'assemblea e si unirono in una Confederazione Calcistica Italiana (C.C.I.), gettando le basi per la disputa di un altro campionato concorrente a quello tradizionale. Cosa era accaduto? Una volta bocciato il progetto Pozzo le società più blasonate e più ricche abbandonarono l'assemblea. L'avv. Bozino riuscì ad organizzare un incontro tra i rappresentanti delle società dissidenti con quelli federali, ma questi ultimi non si presentarono. A quel punto i club più ricchi diedero impulso a quanto avevano già programmato con patto vincolante – il cd. “Patto di Milano”: giocare un proprio campionato privato. Già decisi anche i nomi delle squadre, per lo meno di 21 delle 24 partecipanti.
Queste le conclusioni dell'Assemblea Federale del 21 luglio pubblicate dalla FIGC:
“Le società rimaste a rappresentare legalmente e sportivamente la Federazione Italiana Giuoco Calcio denunciano all'opinione pubblica e alla stampa imparziale l'equivoca condotta della consorelle uscite dalla Federazione stessa, le quali (…) rifiutavano ogni approccio coi rappresentanti delle società minori, ponendo innanzi brutalmente il fatto compiuto di un nuovo ente, col Patto di Milano, a carta costituzionale”. La vicenda ebbe anche ripercussioni internazionali. La FIFA riconosceva una sola federazione per nazione, e per l'Italia legittimata era unicamente la FIGC. Interessante è ricordare che la scissione in esame si riverberò anche nell'allestimento della squadra Nazionale in vista dell'incontro con la Svizzera del novembre 1921. Il Guerin Sportivo l'indomani della scissione così sul punto esprimeva le sue perplessità: “(...) nei riguardi internazionali andranno a monte i grandi incontri in programma per la stagione prossima, in quanto le Società minori rimaste nella FIGC non avranno uomini maturi per la squadra nazionale, mentre i clubs maggiori, che questi uomini hanno, essendosi posti fuori dalla FIGC, non potranno incontrarsi con le Nazioni facenti capo alla Federazione Internazionale”.
Insomma, un groviglio di problematiche, anche transnazionali, che ammiccano molto alla odierna situazione. Quindi in Nazionale per la partita Italia-Svizzera vennero convocati solo i calciatori della FIGC, esclusi quelli appartenenti alle squadre scissioniste. Quella partita del novembre 1921, come suggerisce molto bene lo storico Nicola Sbetti, vista con molto scetticismo dalla stampa, non finì con la temuta sconfitta degli Azzurri, bensì con un pareggio che aiutò il dialogo tra le parti in dissidio.
I DUE CAMPIONATI PARALLELI DEL 1921/22 - Per farla breve: nel 1921/22 si disputarono due campionati paralleli, uno organizzato dalla C.C.I., l'altro dalla F.I.G.C. ed entrambi assegnarono il titolo di campione d'Italia: ecco perché ancora oggi nell'Albo d'oro del campionato in quell'anno vediamo la Pro Vercelli campione C.C.I. e la Novese campione della F.I.G.C. Era già allora di tutta evidenza che questa soluzione non poteva andare bene, quindi mentre si giocavano questi due campionati paralleli contestualmente le parti in causa iniziarono un difficile e fitto dialogo che, dopo alcuni mesi, portò ad un'intesa per la riunificazione dei campionati, intesa che prevedeva una riduzione progressiva delle squadre settentrionali.
IL LODO COLOMBO - Finalmente, nel giugno 1922 C.C.I. e F.I.G.C. trovarono il tanto atteso accordo per ritornare ad un campionato unitario, campionato che sarebbe stato strutturato in una Prima Divisione composta da 36 squadre suddivise in 3 gironi: “arbitri” di questa riappacificazione vennero scelti alcuni giornalisti, soprattutto Giancarlo Corradini, direttore del Guerin Sportivo ed Emilio Colombo, direttore de La Gazzetta dello Sport e pioniere del giornalismo calcistico. Questo arbitrato prevedeva, in breve, che al nuovo campionato avrebbero partecipato per la C.C.I. le 18 squadre piazzate nel torneo 1921/22 dal 1° al 9° posto dei due gironi e le 12 della Prima Divisione della F.I.G.C. Le restanti 6 squadre sarebbero state scelte attraverso un farraginoso meccanismo di spareggi. Il compromesso così raggiunto dava nuovo slancio tecnico ed organizzativo, migliorando la struttura politico-sportiva del calcio italiano. Uno slancio che avrebbe poi portato sul finire dei “ruggenti” anni'20 al format attuale della Serie A.
(Alessandro Bassi è anche su http://storiedifootballperduto.blogspot.it/)